Non sono tardate ad arrivare le prime reazioni politiche all’entrata in vigore dei dazi statunitensi sulle esportazioni svizzere e al mancato annuncio di un accordo dopo la visita a Washington della presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e del consigliere federale Guy Parmelin. I nuovi dazi, saliti al 39%, sono scattati questa mattina alle 6.01 ora svizzera.
Marcel Dettling, presidente dell’UDC, ha lanciato un appello al Governo affinché continui a negoziare con gli Stati Uniti, ma ha anche sottolineato l’urgenza di agire sul fronte interno: “Consiglio al Governo, ed è urgente farlo, di continuare comunque a negoziare con gli Stati Uniti. A livello interno, invece, deve occuparsi di come sgravare gli imprenditori, come ridurre finalmente i costi dell’energia. Tutte tematiche che possiamo e soprattutto dobbiamo affrontare indipendentemente dalle trattative con Washington”.
Damien Cottier, capogruppo del PLR alle Camere federali, ritiene che la Svizzera debba ora guardare altrove: “È necessario negoziare nuovi accordi di libero scambio con altri partner commerciali. Il Consiglio federale lo sta facendo, da oggi in avanti deve farlo ancora con maggiore decisione”. Anche per Cottier, le aziende svizzere vanno sostenute con misure di sgravio.
Di tutt’altro avviso Samuel Bendahan, co-capogruppo del PS, che punta sulla protezione sociale e su una svolta nella politica estera: “A corto termine dobbiamo fare il possibile per tutelare chi è colpito da questi dazi, in particolare assicurare i posti di lavoro. Questo annuncio mostra una volta di più quanto sia pericolosa una strategia di politica estera votata all’isolazionismo. La Svizzera non può agire da sola”. La sinistra propone di rafforzare il dialogo con l’Unione europea e rilanciare il dossier degli accordi con Bruxelles.
Infine, Philipp Matthias Bregy, presidente del Centro, ha chiesto su X di valutare un ricorso presso l’Organizzazione mondiale del commercio e di considerare eventuali contromisure: “Dove possibile – scrive – la Svizzera deve imporre dazi più alti alle importazioni statunitensi”.