Svizzera

Prostituzione, “regole e sanzioni” per i clienti

Le Donne del Centro sono intenzionate a modificare la legge, ispirandosi al modello nordico - Ma l’attivista italiana Pia Covre ribatte: “Multare non funziona. È solo uno dei tanti proibizionismi”

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"Più regole contro lo sfruttamento della prostituzione"

SEIDISERA 04.06.2025, 18:00

  • Keystone
Di: SEIDISERA/Fornasier/Valenti/Spi 

Il cliente delle prostitute “deve diventare una soluzione”, in altre parole va responsabilizzato cambiando la legge. La sezione femminile del partito del Centro intende rilanciare il dibattito a livello nazionale sulla situazione di chi è costretto a vendere prestazioni sessuali per mancanza di prospettive, povertà o perché vittima di sfruttamento e della criminalità organizzata.

La prostituzione è legale in Svizzera dal 1942 e da anni non è più considerata immorale. Dati affidabili e aggiornati non esistono. Secondo una ricerca dell’Università di Ginevra, che risale però al 2008, le donne che si prostituivano allora in maniera legale variava da 13 a 20’000. Cifre leggermente superiori nel 2013, stando all’associazione Aiuto AIDS Svizzero. Ancora meno se ne sa sugli uomini che si prostituiscono. Partendo dal presupposto che spesso le prostitute sono vittime di tratta di esseri umani, di violenze ed esercitano in condizioni precarie, le donne del Centro hanno elaborato una serie di proposte.

A disturbarle, innanzitutto, è l’ipocrisia sociale: “Da dieci anni non chiamiamo prostituzione il lavoro sessuale. Mi sembra molto falso”, dice ai microfoni di SEIDISERA Christina Bachmann-Roth, presidente delle Donne del Centro. “Io penso che sia un lavoro non normale, con tanti rischi. Dobbiamo proteggere queste persone ed aiutarle, se vogliono, ad uscirne”.

La prostituzione in sé non va vietata, come in Svezia, ma l’immagine del lavoro sessuale come attività volontaria e autodeterminata è smentita dalla realtà, secondo lei: “Sappiamo che tante donne subiscono questa situazione. L’80% di loro proviene dall’estero e non parla bene la lingua. Hanno problemi a conoscere la legge e quindi spesso si trovano dipendenti e vulnerabili”.

Secondo Bachmann-Roth le cose sono peggiorate, “soprattutto perché altri Paesi hanno cambiato le leggi, così tante persone sono venute in Svizzera. Sappiamo che la domanda è molto alta”. Le varie organizzazioni che si occupano del fenomeno stimano che nella Confederazione ogni anno 350’000 uomini paghino almeno una volta per prestazioni sessuali. Si tratta di un uomo adulto su cinque.

Tre sono gli ambiti sui quali le Donne del Centro propongono di agire: aiutare le donne ad uscire da questo mondo e proteggerle meglio anche a livello sanitario, ad esempio con l’obbligo del preservativo; definire meglio cosa si intende per ‘magnaccia’ e controllare maggiormente i locali a luci rosse; ma, soprattutto, responsabilizzare di più i clienti.

Il cliente come soluzione, si accennava all’inizio. “Ad esempio, se vede qualcosa che non va, che la donna è troppo giovane, che c’è un problema di criminalità, deve essere una loro responsabilità aiutare queste persone. Regole e conseguenze (se non le rispetta, ndr) devono esserci anche per il cliente. Questo va cambiato”.

La responsabilità oggi ricade invece tutta sulla persona che si prostituisce. È sempre lei ad essere punita se infrange la legge, esercitando dove non può. “Il nostro primo passo per migliorare la legge è la via parlamentare - afferma Christina Bachmann-Roth -. Se non funziona, possiamo immaginare di lanciare un’iniziativa popolare”.

I cambiamenti proposti, che quanto ai clienti ricordano il modello nordico, secondo le Donne del Centro contribuiranno a lottare contro la clandestinità e a conoscere meglio una realtà oggi invisibile.

Perseguire i clienti? “Non funziona”

Perseguire i clienti per eliminare la tratta, è “un’illusione”. A sostenerlo con forza sono le associazioni di difesa delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso. Da loro arriva invece la richiesta di maggiori diritti e riconoscimento. Questo l’approccio del Comitato dei diritti civili delle prostitute che da anni si batte, in Italia, per la legalizzazione.

“Nonostante la grande pubblicità che le femministe svedesi cercano di fare sul loro modello non arriveranno mai ad abolire la prostituzione”, sostiene Pia Covre, 77 anni, di Pordenone. Nel 1982 con Carla Corso ha fondato il suddetto Comitato che ha sede a Trieste. Malgrado da 40 anni sia una nota attivista, quando parla di lavoratrici o lavoratori del sesso usa ancora il ‘noi’. E quando si cita il modello svedese che persegue i clienti, ma non le prostitute, esprime tutta la sua critica: “È uno dei tanti proibizionismi che cerca di nascondere il fatto. Cioè metterlo, come la polvere, sotto il tappeto. Non si risolve o migliora la condizione di chi fa questo lavoro. Non diminuisce il crimine, non diminuisce la tratta”.

Alcuni recenti studi europei, condotti anche dalle associazioni di difesa dei diritti umani e degli operatori del sesso, evidenziano un aspetto nei Paesi nordici che hanno introdotto questo modello. Ovvero che la prostituzione si sia solo spostata su Internet o in luoghi sempre più discosti, come boschi o aree isolate, generando maggior pericolo per le lavoratrici e i lavoratori del sesso.

Nella legge svedese, sostiene Covre, c’è un problema: “Abbiamo ricevuto anche quest’anno più di una donna mandata via da questo Paese. Questa legge, che vuole combattere la tratta, non concede il permesso di soggiorno, ma solo il tempo di testimoniare al processo contro i criminali”. In Italia, invece, la legge anti-tratta del 1998 concede il permesso di soggiorno alle donne vittime che denunciano.

Ma Pia Covre contesta anche il modello svedese perché non rispetta il diritto all’autodeterminazione, ossia chi ha scelto liberamente di esercitare il mestiere, esattamente come nel suo caso: “Multare i clienti vuol dire penalizzare le lavoratrici. Cliente che ha la libertà di acquistare, come la lavoratrice a quella di vendere. L’unica cosa che si deve punire è la prostituzione fatta da minori. Non è più un contratto paritario, ma un abuso. E questo va punito”.

L’obiettivo finale del Comitato dei diritti civili delle prostitute è che il cosiddetto mestiere più antico del mondo venga considerato un vero e proprio lavoro sul modello neozelandese. In Italia, tuttavia, l’obiettivo è ancora lontano: “Qui siamo in una situazione ridicola, più che legale. Certo, non è vietato essere prostitute, però è vietato organizzarsi in un appartamento. Se si è più di una persona verremmo denunciate per riorganizzazione di casa di prostituzione. Non è legale farlo in un hotel. In più c’è un reato che è quello di favoreggiamento, che può colpire chiunque. In pratica è legale, ma non è chiaro dove effettivamente noi possiamo lavorare se non vogliamo lavorare isolate.

Infine, sempre in Italia, c’è l’aspetto fiscale. La legge Merlin del 1958, che regola ancora oggi la prostituzione, vieta il pagamento delle tasse. Lo Stato infatti non può essere un pappone. Ma da quest’anno l’Istituto nazionale di statistica ha creato un codice di attività specifico per la prostituzione, consentendo dunque di pagare il dovuto all’erario. “Ti chiedono di metterti in regola con una partita IVA. Questo prevederebbe che tu faccia la fattura, ma nessun cliente ti darebbe i suoi dati”. Da qui la lotta di Pia Covre e del Comitato per essere riconosciute come lavoratrici e lavoratori del sesso con doveri, come pagare le tasse, ma anche tutele e diritti, come quello alla pensione e, soprattutto, di essere considerati rispettabili lavoratori autonomi.

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