Le prove a carico di Mitra Djordjevic sono state raccolte in conformità alla legge e non lasciano adito a nessun dubbio: è colpevole di ripetuta istigazione in assassinio. Queste in estrema sintesi le motivazioni contenute nella sentenza del Tribunale federale che, rigettandone il ricorso, ha confermato la condanna all’ergastolo emanata dalla Corte di appello e revisione penale del canton Ticino contro la 51enne serba, madre del giovane che nel 2011 – allora 16enne – uccise il patrigno Arno Garatti a Daro.
Il ricorso era fondato su molti punti, contestava l'accertamento dei fatti, la credibilità della testimonianza resa agli inquirenti dall'uomo a cui aveva inizialmente chiesto di trovare qualcuno che uccidesse il marito (uomo che presenta deficit cognitivo), nonché la versione del figlio che ha più volte accusato la madre di essere lei stessa la mandante.
Argomenti che Mon Repos ha rifiutato uno ad uno. Non ci si può limitare a criticare la decisione impugnata opponendovi semplicemente la propria opinione, spiega l’Alta Corte nella sentenza lunga 25 pagine: le prove raccolte non sono arbitrarie e dimostrano come abbia chiesto al uomo e al figlio di trovare qualcuno per uccidere il marito; il figlio non aveva nessun movente per volere la morte del patrigno, ha mentito molte volte, ma non quando ha chiamato in causa la madre.
La 51enne era stata prosciolta alle Assise Criminali ma il verdetto era poi stato ribaltato in appello. Con la sentenza della massima autorità giudiziaria la condanna cresce dunque in giudicato: la donna con ogni probabilità sconterà la condanna al carcere a vita in Serbia, dove si è recata subito dopo la sentenza di primo grado.
ludoC/Quotidiano