Per decenni, il Ticino ha vissuto un confine segnato dal contrabbando: sentieri discosti, travalicamenti notturni e traffici nascosti. A questo universo, e alla sua evoluzione tra il 1861 e il 1939, Adriano Bazzocco dedica il libro “Spalloni e bricolle”. Di questo mondo e del suo significato per il cantone, l’autore ha parlato a SEIDISERA.
Un fenomeno sociale, non solo economico
“Il contrabbando nasce da un dislivello fiscale tra la Svizzera e l’Italia”, spiega. Era una risposta alla miseria, ma anche un gesto di autonomia: una sfida “ai governi centrali, che imponevano ordinamenti che non avevano nulla a che vedere con quei territori”.
Per questo la figura degli spalloni (i contrabbandieri che trasportavano la merce a spalla, ndr) non era guardata con disprezzo: “Il contrabbando non è mai stato assoggettato a riprovazione sociale. Anzi, dopo un’operazione, gli spalloni festeggiavano davanti all’intera comunità”. Un’attività dura e rischiosa, ricorda Bazzocco: “Molti sono morti assiderati o sotto valanghe”.
Le merci e le rotte del contrabbando
Quanto alle merci, “erano per lo più zucchero, caffè, tabacco” e il “contrabbando è sempre stato esercitato dalla Svizzera verso l’Italia”. A riguardo, chiosa l’autore, è importante ricordare che “in Svizzera non era considerato un reato”.
Durante la Seconda guerra mondiale, invece, la direzione si invertì: dall’Italia affluivano verso la Svizzera “grandissime quantità di riso e numerosi altri beni”. I trafficanti italiani trasportavano le merci oltreconfine “per ottenere i preziosissimi franchi svizzeri” e riuscivano a “fare guadagni molto importanti”.







