Ci sono voluti oltre cinque anni. Ma oggi pomeriggio la maggioranza della Commissione economia e lavoro ha detto no alle misure proposte dall’iniziativa dell’MPS, che in due mesi aveva raccolto 7’350 firme. Misure che prevedono l’obbligo per i datori di lavoro di notificare all’autorità di controllo i dati dei contratti, come pure che l’Ufficio dell’ispettorato del lavoro disponga di un ispettore ogni 5mila persone attive e un’ispettrice ogni 2’500 donne attive.
A non convincere la maggioranza della Commissione è “l’impatto dei costi e l’impatto burocratico sulle aziende”, spiega ai microfoni del Quotidiano Cristina Maderni (PLR), co-relatrice del rapporto di maggioranza. La granconsigliera indica che si parla di oltre 18 milioni di franchi, più i costi per la logistica.
Oneri che sono basati su 166 nuove unità all’interno dell’ispettorato. Una cifra che non convince i rappresentanti socialisti e verdi della Commissione. Per Fabrizio Sirica, relatore dell’altro rapporto non ancora pronto, è un numero “spropositato e frutto di un errore di interpretazione su quali e quanti contratti andrebbero controllati”.
Secondo Maderni, i monitoraggi in Ticino sono già molto efficaci: “Per esempio nel 2024 sono stati controllati il 30% dei contratti di lavoro, quando la SECO (la Segreteria di Stato dell’economia, ndr) dice, a livello nazionale, tra il 3 e il 5%”.
L’obiettivo della Commissione è di andare in aula il 17 novembre, così da poter andare al voto popolare a marzo dell’anno prossimo. L’iniziativista Matteo Pronzini sottolinea: “Vedremo, se si arriverà in votazione, cosa dirà il popolo. (...) Credo che sia sotto gli occhi di tutti che uno dei problemi principali con cui la popolazione è confrontata nel canton Ticino sia la sistematica riduzione dei salari e un abuso sempre maggiore”.