“Pochissimi, hanno intenzione di portare avanti questo mestiere fino alla pensione”.
Quando abbiamo sentito questa frase in bocca a un docente siamo rimasti sorpresi. Ma come? L’insegnamento non è una vocazione? Mestiere logorante, sì, ma anche appassionante, ci siamo detti.
Ma poi, scavando, ci siamo accorti che il malessere è diffuso. È una questione di energia, un delicato gioco di equilibrio tra richieste e risorse. E quando le prime superano le seconde, la carica si esaurisce.
Professione ad alto rischio di burnout
Negli anni ’70 diversi ricercatori hanno cominciato ad esplorare le cause, i sintomi e le conseguenze del burnout, una sorta di esaurimento fisico ed emotivo, ben rappresentato dall’immagine di una candela che si spegne lentamente. E hanno scoperto che le cosiddette ‘professioni di aiuto’ (sanità, servizi sociali, educazione), caratterizzate dall’interazione umana e da un forte carico emotivo, sono particolarmente esposte al rischio di burnout.
“C’è un grande dispendio di energia, non solo nell’elaborazione di attività e materiali, ma sempre di più nella relazione con le famiglie, nei colloqui, le riunioni, i corsi di formazione e i contenuti extrascolastici’”, racconta una docente ai microfoni di Falò.
In Ticino si è cominciato ad esplorare il tema nei primi anni Duemila. Nel 2011 il DECS ha avviato il progetto ‘Sostegno ai docenti in difficoltà’ e nel 2017 è apparsa la prima fotografia dettagliata del fenomeno, da cui è emerso che il 20%, 1 docente su 5, presentava segnali da leggeri a gravi di rischio di burnout.
Cambiamento sociale
“Spesso siamo investiti di compiti educativi che prima non c’erano. È un aspetto che mi piace del mio lavoro, ma è faticoso, perché ci dà tanta responsabilità e poi siamo criticati, come dire che quando non funziona qualcosa nei ragazzi è colpa nostra”, spiega un’altra persona di cui Falò ha raccolto la testimonianza.
Gli esperti ci dicono che viviamo in una ‘società post narcisistica’, dove i bambini crescono con un eccesso di aspettative da parte degli adulti. I figli sono caricati di ideali irrealistici e standard elevati. Questo cambiamento si riflette sugli insegnanti, il cui lavoro è sempre più monitorato e criticato da genitori apprensivi e preoccupati.
“Crescono i problemi complessi dei ragazzi, legati a un forte disagio in famiglia. Ci sono allievi che impediscono di fare lezione o rispondono in maniera molto sgarbata agli insegnanti. Alcuni devono avere un adulto costantemente accanto a sè per evitare di fare male ai compagni e a loro stessi, in alcuni casi anche al docente”.
Dall’altra parte cresce il disagio sociale e i problemi comportamentali delle allieve e degli allievi. Senza arrivare a casi estremi, come quello del ragazzo che ha minacciato la sua docente con la pistola, molti insegnanti, direttrici e direttori si trovano a gestire quotidianamente situazioni difficili. Sono supportati da assistenti sociali, educatori e altre figure professioni, ma spesso non si riesce ad attivare gli aiuti in tempi brevi e si interviene in emergenza.
Scuola inclusiva
“Se una volta al docente si chiedeva una lezione valida per tutti con obiettivi validi per tutti ora si chiede di individualizzare i percorsi allievo per allievo, di tarare per ciascuno un percorso calibrato ad hoc’”, aggiunge un’altra persona.
All’inizio dell’estate il presidente del PLR svizzero Thierry Burkart ha dichiarato che la scuola inclusiva “ha fallito”. Parole forti che rilanciano il dibattito su un modello educativo al centro di visioni politiche contrapposte. Al di là della politica, le docenti e i docenti sottolineano un aumento del carico di lavoro e di incombenze lontane dalla didattica.
Scuola medicalizzata?
Sempre più spesso si ricorre a diagnosi mediche che attestano uno o l’altro disturbo dell’apprendimento, dell’attenzione: dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia … il riconoscimento dei disturbi specifici dell’apprendimento garantisce ad allieve ed allievi pari opportunità educative, ma il rischio di eccessi e manipolazioni è dietro l’angolo.
E c’è chi mette in guardia sulle possibili derive di una scuola ‘medicalizzata’.