Ticino e Grigioni

Il “greenwashing” si espande in sempre più settori

Questo tipo di comunicazione fuorviante tocca anche il mondo della sanità, quello della tecnologia e molti altri - Se ne parlerà questa domenica al Parco Ciani di Lugano

  • Oggi, 19:15
04:19

SEIDISERA del 12.07.2025 - Greenwashing, intervista a Ludovico Conti

RSI Info 12.07.2025, 19:02

  • GettyImages
Di: SEIDISERA/FCi 

Sostenibilità. Una parola che indica un principio etico e ambientale, ma che spesso si riduce a un mero strumento di marketing, portando quindi al “greenwashing”. È proprio di questo che si parlerà domani, domenica, al Parco Ciani alle 18, nel primo di quattro appuntamenti del LongLake festival di Lugano dedicati alla ricerca scientifica. Un modo per portare quest’ultima fuori dai laboratori e avvicinarla al pubblico.

“Il greenwashing è una comunicazione fuorviante, simbolica e di facciata”, spiega ai microfoni di SEIDISERA Ludovico Conti, dottorando di etica ambientale dell’Università della Svizzera italiana (USI). Alcune aziende, infatti, si fregiano di operare seguendo buone pratiche, che poi non vengono effettivamente rispettate, o solo in piccola parte. “Colorando” di verde (che rimanda all’ecologia e alla sostenibilità) la loro reputazione.

Non solo “greenwashing”, ma anche “bluewashing”, “brownwashing”, “pinkwashing”...

Si tratta di un fenomeno che, indica Corti, si è espanso in molti settori, come per esempio la sanità e la tecnologia. Ma si può andare anche oltre. Esistono varianti come il “bluewashing, che è la strumentalizzazione del logo blu delle Nazioni Unite”, il “brownwashing quando si parla di temi razziali” o il “pinkwashing, per tematiche che hanno a che fare con il cancro al seno o con la lotta per i diritti civili delle donne”.

Come fa quindi il consumatore a capire se le aziende operano effettivamente come dicono? “Purtroppo bisogna essere ancora molto proattivi. Per cui bisogna andare a cercare di capire se vi è una divergenza tra quello che l’azienda dice di fare e quello che fa realmente”. Un aiuto potrebbe essere affidarsi “alle certificazioni internazionali riconosciute e magari diffidare da quelle che sono create ad hoc dalle aziende”. Altro punto importante è “spingere perché vi siano nel futuro delle regolamentazioni anche dal punto di vista legale”.

Svizzera indietro dal punto di vista legale

I Paesi europei hanno fatto alcuni passi in questa direzione, mentre la Svizzera arranca. “Purtroppo il problema risiede nel fatto che il greenwashing non è una comunicazione falsa. È un abbellimento, un’esagerazione, magari, di alcune caratteristiche di un prodotto”. È quindi difficile, prosegue Corti, capire quando l’azienda sta mettendo “in bella mostra il proprio prodotto accentuandone le caratteristiche ambientali e sociali” o quando si tratta di “una comunicazione fuorviante che mira a far sì che il consumatore abbia un’impressione che in realtà non è corroborata dai fatti”.

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