In Engadina cresce la preoccupazione per il futuro dell’ospedale di Samedan. Dopo la bocciatura del piano di salvataggio da 51 milioni di franchi da parte di tre dei Comuni coinvolti, benché finora non si registrino partenze, una parte del personale valuta di andarsene. E ciò proprio alla vigilia della stagione invernale in cui le persone nella zona passano da 17’000 a 100’000, contando i turisti. I vertici promettono che l’assistenza sarà garantita anche in questo periodo di picco, ma non rassicurano tutti.
I timori toccano anche l’ospedale di Scuol, che dista una cinquantina di chilometri: se a Samedan fossero tagliate prestazioni, molti pazienti potrebbero spostarsi per essere curati. “Ci sono la maternità e l’ortopedia, reparti che a Samedan potrebbero chiudere”, ricorda al Telegiornale della RSI Joachim Koppenberg, il direttore del centro sanitario. A suo avviso, “per decidere come ristrutturare a Samedan non ci sarà tempo fino ad aprile, fino alla fine della stagione invernale”. Per questo, aggiunge, “ci stiamo preparando allo scenario peggiore, ovvero che a causa delle partenze del personale da Samedan già a febbraio o marzo alcune prestazioni non saranno più garantite dall’ospedale dell’Alta Engadina.
Partenze che come detto, finora, non ci sono state, ma alcuni dei circa 500 dipendenti hanno già chiesto il certificato di lavoro. Difficile quindi dire se ci sarà un fuggi fuggi. La situazione finanziaria difficile è nota anche nel resto della Svizzera, vista l’attenzione mediatica che il caso grigionese ha saputo attirare. Quindi “altre strutture vogliono accaparrarsi questi specialisti”, spiega Renate Rutishauser, la presidente dell’associazione cantonale degli infermieri.







