Dopo 5 giorni di trattative e talvolta più incontri al giorno, i 30 dipendenti licenziati della fabbrica Bally di Caslano conoscono infine il piano sociale che li accompagna al termine del loro contratto di lavoro: 3 mesi di preavviso più 3 mesi di buonuscita. “Le richieste che sono state accolte ricalcano essenzialmente il piano sociale firmato già nove mesi fa. Per qualcuno anche un 40%, un 60% di salario di buonuscita in più”, spiega Luca Robertini, sindacalista OCST, intervistato dal Quotidiano della RSI.
Nove mesi fa furono licenziate 65 persone. Nella fabbrica di moda che fino a qualche anno fa dava lavoro a oltre 100 dipendenti, ne rimangono ormai solo 27. Nei negoziati si è parlato anche di loro.
“Parte dell’accordo che abbiamo concluso oggi, a differenza dell’ultimo, prevede che le condizioni firmate per chi è in uscita siano valide per un periodo di 12 mesi. Questo anche nell’idea di rassicurare chi rimane”, sottolinea Robertini, il quale indica che chi resta teme di venir licenziato nei prossimi mesi.
Bally è in mano al fondo d’investimento statunitense Regent LP, un sistema che, secondo Robertini, ha mostrato i suoi limiti. “Sicuramente questa formula (un fondo che non risiede alle nostre latitudini gestisce una fabbrica), è una formula diffusa e crea i suoi problemi. Secondo me urge una riflessione politica su che tipo di industria vogliamo aiutare nel nostro territorio, magari un’industria che abbia più a cuore il territorio, che non quella gestita da grandi fondi internazionali”.
Il proprietario statunitense ha rassicurato di voler puntare sul marchio svizzero e continuare a produrre l’altissima gamma a Caslano.