Ticino e Grigioni

Revenge porn? “No, il termine corretto è abuso sessuale”

Il fenomeno delle foto messe in rete a insaputa delle vittime ha scosso anche il Ticino - Il parere degli esperti: “Mancano leggi specifiche, ma serve anche un lavoro collettivo. Il virtuale è reale”

  • Oggi, 05:50
  • 2 ore fa
04:47

SEIDISERA del 31.08.25, il servizio di Marcello Ierace

RSI Info 31.08.2025, 18:41

  • Keystone
Di: SEIDISERA/Ierace/Spi 

È un fenomeno inquietante e nuovo: il furto e la diffusione online di immagini intime (per lo più non pornografiche) ha portato, nei giorni scorsi, alla chiusura in Italia del gruppo Facebook “Mia Moglie” e del portale in cui venivano condivise immagini di donne a loro insaputa. Un fatto che ha suscitato preoccupazione anche in Ticino, dove la pagina FB era conosciuta e utilizzata.

Ma cosa possono fare le donne che trovano le proprie foto in rete, esposte al pubblico ludibrio sui siti a carattere sessista? Esistono strumenti per tutelare le vittime?

SEIDISERA lo ha chiesto a Gabriela Giuria Viveros, responsabile dello sviluppo progetti della Fondazione Diritti Umani di Lugano, che ha creato un canale dedicato, l’osservatorio agor@, per studiare il fenomeno dell’odio online.

“Purtroppo, almeno in Svizzera, non esistono leggi specifiche – sottolinea l’attivista per i diritti umani –. Si potrebbe intervenire sul piano della violazione della privacy, che in questi casi è particolarmente complessa, perché spesso sono gli stessi partner delle donne a condividere queste immagini. Chiaramente si tratta di un reato contro la personalità, contro l’onore, che può avere conseguenze molto gravi a livello psicofisico per chi lo subisce”.

Particolarmente grave, e difficile da gestire psicologicamente, è il tradimento della fiducia. Come si può arginare un fenomeno così complesso e al tempo stesso così intimo?

“La questione corre su due binari – prosegue Giuria Viveros –. Da un lato, è necessario disporre di leggi specifiche che siano al passo con l’evoluzione tecnologica. Dall’altro, la cultura, le usanze e i costumi hanno un peso importante. Serve una sensibilizzazione profonda sul rispetto altrui. Perché, in fondo, stiamo parlando di rispetto, di violenza, di attacchi. È necessario un lavoro collettivo, che parta dalle famiglie e coinvolga tutti i livelli della società: la scuola, i luoghi di lavoro, le istituzioni. Bisogna far passare il messaggio che ciò che accade online non è virtuale. È reale”.

Si tratta, insomma, di abusi che colpiscono le persone su più livelli. Spiega l’esperta: “Parliamo di salute fisica, psicologica ed emozionale. Dopo una situazione del genere, sfido qualunque donna a ricostruirsi una vita e a fidarsi del proprio cerchio più intimo. Perché è violenza, e questo non dobbiamo dimenticarlo. Condividere le foto di una persona a sua insaputa, una persona che si fida di noi, è un atto estremo di violenza”.

Nel luglio 2024, in Svizzera, è stata rafforzata la legge sulla condivisione di immagini senza consenso. Una base legale che però appare insufficiente, come dimostra l’interrogazione presentata sabato dalla deputata socialista Lisa Boscolo, che chiede al Consiglio di Stato quali misure siano previste in Ticino per prevenire questi fatti, sostenere le vittime e punire chi diffonde le immagini.

La questione è anche di termini. Spesso si usa la parola “revenge porn”, che secondo gli esperti andrebbe abbandonata. Lo ha spiegato ai microfoni della RSI il professor Marco Viola, docente e ricercatore all’Università degli Studi Roma Tre: “Anche chi condanna questi comportamenti – osserva lo studioso – quando usa questa espressione invita inconsapevolmente a pensare dal punto di vista del perpetratore, cioè di chi condivide una foto per vendetta.”

Con la conseguenza, prosegue Viola, di colpevolizzare la vittima: “La parola revenge suggerisce che la persona, in qualche modo, se lo sia meritato. Questo affonda le radici in un retroterra misogino che, anche involontariamente, si continua a perpetrare. Sono otto anni che esistono termini più corretti, che aiutano a mettere il focus sull’esperienza delle vittime, esperienze di abusi sessuali. Poco importa che non ci sia stato un contatto fisico: gli effetti psicologici di un abuso su un corpo digitale sono comunque devastanti”.

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