I casi di scabbia sono in aumento anche in Ticino: la malattia della pelle, causata da un acaro parassita, durante l’estate raggiunge il picco di contagio e negli ultimi anni è tornata a diffondersi tra le persone. “L’aumento dei casi che stiamo vedendo, nella stragrande maggioranza dei casi, è costituito da persone che tornano dalle vacanze, oppure da chi è stato in contatto con gente tornata dalle vacanze. Il contatto tipico è quello corpo a corpo; non basta una stretta di mano, di solito si è condiviso il letto”, spiega alle telecamere del Quotidiano della RSI il dermatologo Andrea Rabuffetti.
Il microscopico acaro si insinua nelle zone più calde e umide del nostro corpo, vale a dire in mezzo alla dita della mani, dei piedi, nella zona inguinale e sotto le ascelle, soprattutto. Scava cunicoli per viverci e deporre le uova. Dopo due settimane dal contagio inizia il prurito e il rossore, ed è li che ci si accorge che qualcosa non va e bisogna recarsi dal medico per le cure. “Le cure sono prescritte sempre dopo una visita medica: consistono in una crema o delle pastiglie. Questo di solito permette la risoluzione del problema. Attenzione però, non sempre si guarisce subito. Il parassita è morto, però i piccoli tunnel che ha scavato rimangono e quindi anche il prurito. Può esserci il cosiddetto eczema post-scabbia. E il prurito può persistere anche un mese dopo che la scabbia è stata debellata”.
È poi importante debellare gli acari ancora presenti a casa. “Quando diagnostichiamo la scabbia diamo sempre un protocollo, un foglio con scritto esattamente come reagire. Tutto quello che si può lavare, lo si lava e tutto quello che non si può lavare lo si mette in un sacco e lo si mette all’aperto perché l’acaro non riesce a sopravvivere per più di tre giorni senza contatto”, spiega Rabuffetti.
Per quanto riguarda il lato psicologico, le persone hanno la sensazione di essere infestate - sottolinea il dermatologo -. “Solo l’idea di avere qualcosa che sta scavando tunnel sotto la pelle è da film horror. E giustamente ci si sente un poco come il lebbroso di turno. Molti pazienti sono veramente abbattuti da quel lato”.
Non essendo una malattia a obbligo di denuncia non si hanno dati ufficiali sulla casistica e sulla percentuale di contagio. All’ospedale San Giovanni di Bellinzona, in media, in questo periodo, si registrano 2-3 casi a settimana.