Ticino e Grigioni

Vietare lo smartphone nelle scuole: proteggere o educare i giovani?

Il dibattito sul divieto delle nuove tecnologie per gli studenti ticinesi prosegue, tra chi sottolinea il ruolo educativo delle scuole e chi evidenzia i danni che questi strumenti provocano agli adolescenti

  • 59 minuti fa
Una studentessa usa lo smartphone durante la ricreazione (foto costruita)
55:00

Il telefonino, i social e la scuola

Modem 08.12.2025, 08:30

  • Keystone
Di: Modem-Luca Fasani/Gi.Lo 

L’uso degli smartphone è sempre più diffuso, anche tra i giovani. La politica si sta interessando di quanto i giovani fanno e possono fare nel mondo digitale. A livello ticinese sono appena state consegnate le firme per l’iniziativa popolare “Smartphone: a scuola no!” che mira a vietare di portare su suolo scolastico dispositivi connessi a internet.

Il governo ticinese non è l’unico a muoversi sulla questione, proponendo dei divieti. Per esempio in Australia entrerà in vigore a giorni il divieto di usare i social media per i minori di 16 anni.

La discussione contrappone chi chiede di proteggere la gioventù grazie ai divieti e chi propone un approccio meno proibizionistico e basato piuttosto su prevenzione e educazione. La scuola è solo uno degli ambiti chiamati in causa, sia per quanto riguarda l’uso degli smartphone che per quanto riguarda l’educazione al loro uso. Altrettanto importanti sono però anche i ruoli della società, dell’economia e delle famiglie.

Ai microfoni di Modem Giorgio Fonio, consigliere nazionale ticinese del Centro e fra i promotori dell’iniziativa “Smartphone: a scuola no!”, sottolinea che al momento non c’è nessun divieto in vigore nelle scuole, ma solo delle direttive secondo cui lo smartphone deve restare nello zaino e in modalità aereo. Tuttavia, continua Fonio, nel 25% delle scuole ticinesi questa limitazione non viene rispettata nelle ricreazioni e nelle pause pranzo. La situazione attuale sarebbe quindi insoddisfacente.

Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Ticino, rimarca invece l’importanza degli smartphone quale elemento dal quale partire oggi per entrare in relazione con tutto quanto ci sta intorno. “La scuola ha la necessità di esercitare una responsabilità che vada un po’ più in là di quanto sia stato fatto fino ad oggi, proprio partendo dalla necessità di ridare significato alle nuove tecnologie, al cellulare in particolare, in termini educativi”. Vietare lo smartphone a scuola significherebbe quindi perdere un’importante occasione educativa: “Si tratta di apprendere a relazionarsi con quanto mi sta attorno, in questo caso attraverso un mezzo che è quello del cellulare”.

L’impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo neurologico degli adolescenti

“Studi recenti hanno mostrato come lo sviluppo del cervello di un adolescente segue delle traiettorie diverse in base all’utilizzo o meno del cellulare e dei social media. La ricerca mostra anche l’effetto dell’uso delle nuove tecnologie sullo spessore di alcune aree cerebrali” afferma Rosalba Morese, ricercatrice e docente in psicologia e neuroscienze sociali all’USI.

Un tema centrale della ricerca neuroscientifica è quello della qualità dell’uso della tecnologia. “Si differenzia tra un uso passivo, ovvero il classico scrolling, e un uso attivo, come la creazione di contenuti e attività di socializzazione” spiega Rosalba Morese. “Non è più la quantità di tempo ma cosa facciamo in termini di contenuto”.

L’adolescenza è un’età cruciale per lo sviluppo del cervello: “Ci sono delle fasi critiche per lo sviluppo del cervello adolescenziale. La prima fase è per le ragazze intorno gli 11-13 anni e per i ragazzi tra i 14-15. L’altra fascia d’età per entrambi i sessi è 19 anni. Questi sono periodi in cui ci sono grandi cambiamenti neurofisiologici del cervello e sappiamo che durante queste fasi aumenta la vulnerabilità e l’impatto dei social è più evidente.”

Il divieto di utilizzare i social media proprio fino ai 16 anni troverebbe quindi un riscontro nella letteratura scientifica: “La struttura con cui sono costruiti i social modula alcune aree del piacere e della ricompensa immediata proprio perché facilitano la produzione di dopamina. Si tratta del senso di piacere e di benessere che si prova quando si mettono dei like, ad esempio, o quando si guardano dei video che per noi sono personalizzati. Questo può aumentare il rischio di comportamenti di ricerca di ricompense immediate, oppure una maggiore vulnerabilità ai sintomi depressivi e ansiosi. Il cervello adolescente è molto più vulnerabile a questi meccanismi perché non ha ancora maturato le strutture di controllo”.

“Quando parliamo di vulnerabilità nelle neuroscienze sociali parliamo anche dello sviluppo di meccanismi di autocontrollo, ovvero quelle capacità che servono per gestirci nella vita di tutti i giorni, per gestire le relazioni interpersonali che sono molto complesse. Sono capacità di autocontrollo anche quelle legate alle emozioni, quindi si tratta di qualcosa di molto prezioso anche nella vita quotidiana poiché ci permettono di essere appropriati al contesto sociale”, conclude la ricercatrice dell’USI.

Chi deve assumersi la responsabilità pedagogica: scuole o famiglie?

Secondo Ilario Lodi, vietando gli smartphone nelle scuole la responsabilità di educare i giovani all’uso di questi dispositivi ricadrebbe sulle famiglie, che però non sono in grado oggi di farsi carico di un problema così importante.

Non si perderebbe un’occasione educativa invece secondo Giorgio Fonio: non si tratta di negare l’esistenza degli smartphone e “la scuola può e dovrà continuare ad educare all’utilizzo di questo di questo strumento. Ma se la scuola vuole educare all’utilizzo dello smartphone lo faccia con gli strumenti messi a disposizione dalla scuola. Spiegatemi qual è il motivo per cui una famiglia oggi debba dotare il proprio figlio di uno smartphone per fare in modo che la scuola possa educare all’utilizzo di questo strumento. Capite che c’è anche un problema all’interno della società perché sappiamo tutti che questo strumento costa tra i 1’000-1’500 franchi, quindi andiamo anche a mettere ulteriormente in difficoltà le famiglie”.

Su questo punto si trova d’accordo anche Ilario Lodi: “Nella scuola questo tipo di educazione può passare benissimo da elementi che non hanno a che fare con le nuove tecnologie. Si parla di relazione, si parla di tempo, si parla di valori, si parla di tutta una serie di elementi che oggi convergono sulle nuove tecnologie. Però se la scuola non si occupa di questo aspetto, allora sarà il mercato ad occuparsene secondo delle logiche che non hanno nulla a che vedere con interessi di ordine pedagogico-educativo”.

E i social media?

In Svizzera non esiste un divieto generale dei social media per gli adolescenti, tuttavia il dibattito - anche politico - si sta facendo sempre più acceso. Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Ticino, non vede negativamente il divieto dei social ai minori di 16 anni, al contrario del divieto dello smartphone a scuola: “Il problema è diverso ed è prima di tutto collettivo. È diventato in questo modo un problema di ordine politico e la questione non può essere affrontata in termini locali, deve essere governata in termini quantomeno federali perché entrano in gioco questioni di ordine economico, educativo, ambientale e di salute pubblica. Aggiungo un’ultima cosa: non sarà facile perché i giganti dell’economia sono difesi da una serie di lobbisti all’interno del Parlamento e hanno dei grossissimi interessi nel fare in modo che questo problema venga affrontato soltanto parzialmente”.

Conclude, con una prospettiva positiva, Giorgio Fonio: “Ci vorrà del tempo, ma io credo che avremo le maggioranze per fare finalmente qualcosa di positivo e per modificare qualcosa che dopo dodici anni ci ha fatto capire che ha fatto male e sta facendo male ai nostri ragazzi”.

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