Da Grancia a Shanghai, da Dietlikon a New York, da Vernier a Abu Dhabi, da Pratteln a Manila: il logo giallo e blu dell’IKEA è ormai una presenza costante ai quattro angoli del pianeta. La multinazionale è riuscita a mettere d’accordo tutti con il suo stile, le sue proposte che si aggiornano di continuo, i suoi mobili da montare a casa e, soprattutto, con i suoi prezzi stracciati.
Sono questi gli ingredienti della formula sviluppata dal suo geniale fondatore, lo svedese Ingvar Kamprad, pioniere del consumo di massa. Fu lui a fondare, poco più di 80 anni fa, la piccola azienda che dalla Svezia è partita alla conquista del globo.
Così oggi IKEA è una multinazionale di proporzioni enormi. Un gigante che ha un’inesauribile fame di legno: per poter alimentare costantemente il suo impero di mobili a buon mercato, ingoia un albero ogni due secondi.
Ma da dove arriva questo legno? Davvero Ikea si approvvigiona solo da foreste sfruttate in modo responsabile, come sostiene la multinazionale? E come può garantire che il disboscamento delle foreste non sfugga i controlli e non sia attuato in modo selvaggio? L’attività di una ONG in Romania - paese dove IKEA si rifornisce di legname, e dove la criminalità è legata allo sfruttamento delle risorse naturali – rivelerebbe situazioni preoccupanti.
E non è tutto: oggi a essere messa in discussione è proprio una delle idee che, a partire dagli anni ’60, ha contribuito a fare la fortuna di IKEA, ovvero: non produrre più mobili destinati a durare, bensì pezzi d’arredamento fatti velocemente, che velocemente si consumano, si buttano, si ricomprano a basso prezzo. E’ la “fast furniture”, così la definiscono i detrattori. E di fronte alla crisi climatica, questo sistema è ancora sostenibile?