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Brexit: crolla l'export, Londra piange

Dopo il "divorzio" da Bruxelles le esportazioni sono diminuite di quasi il 16%: bruciati l'equivalente di 15 miliardi di franchi

  • 30 dicembre 2021, 07:08
  • 7 settembre 2023, 22:18
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Crisi dell'export nel Regno Unito

Telegiornale 29.12.2021, 20:00

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Di: TG

Le esportazioni britanniche in Europa, negli ultimi 12 mesi, hanno subito una netta flessione; in parte certamente a causa dell’emergenza pandemica, ma anche per via dell’impatto della Brexit - diventata effettiva il 1 gennaio 2021 - che ha complicato la circolazione delle merci attraverso la Manica, facendo aumentare notevolmente i costi di spedizione.

Le piccole e medie aziende nel Regno Unito rappresentano il 99% del tessuto imprenditoriale britannico, e da sole generano il 52% dell’intero fatturato nazionale. La struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale, ora in grave sofferenza per il divorzio da Bruxelles.

“Ci era stato promesso che non avremmo subito danni, né ritardi nelle consegne dei servizi che forniamo. Ma era una menzogna, il Governo chiaramente non sapeva cosa stesse firmando”, dice Andrew Moss, di Horizons RMS.

L’entrata in vigore - lo scorso primo gennaio - del nuovo accordo commerciale con l’Unione Europea ha causato – al di là dell’impatto pandemico – nuovi e inattesi ostacoli per chi esporta nel Continente. “Nel 2020 potevamo spedire singoli pacchi o bancali in un giorno o due. Dopo la Brexit i pacchi impiegano fino a cinque giorni, i carichi più grandi anche due mesi, con i TIR bloccati alla dogana per giorni e settimane”, spiega Andrew Moss.

Nonostante l’accordo di libero scambio tra le parti, l’introduzione di controlli alla frontiera, e l’obbligo di un’esaustiva certificazione, hanno soffocato la circolazione delle merci. Costringendo Dea Baker - fondatrice di un’etichetta di moda - a rivedere al rialzo i prezzi del suo catalogo. “Abbiamo dovuto aumentarli dal 10 fino al 25%, a seconda dei capi. Per ammortizzare i nuovi costi delle pratiche amministrative, dei trasporti, delle tasse sulle importazioni, dal momento che produciamo all’estero”, lamenta Dea Baker.

Negli ultimi 12 mesi piu’ di 6'000 piccole e medie aziende britanniche hanno aperto una propria filiale nella sola Olanda, attratte si’ da politiche fiscali estremamente vantaggiose, ma soprattutto dalla possibilità di continuare ad esportare in Europa, come prima della Brexit. Non avendo i capitali necessari per aprire una sussidiaria, Simon Spurrell ha continuato – finché è riuscito – a vendere da Manchester i suoi formaggi. “I costi di spedizione, però, sono cresciuti gradualmente ogni mese, fino a livelli insostenibili, richiedendo l’impiego di cinque persone, e quattro ore per l’amministrazione. Fino a quando non siamo più riusciti ad assorbire i costi”, dice Simon Spurrell della Cheshire Cheese Company, che ha rinunciato – suo malgrado – al mercato comunitario. “Rispetto al 2020 abbiamo perso il 20% del nostro fatturato, l’equivalente di circa 250mila sterline, costruito in due o tre anni di esportazioni in Europa”.

Esportazioni che nell’ultimo anno sono diminuite quasi del 16%, più di 15 miliardi di franchi sacrificati sull’altare della Brexit.

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