Nelle strade affollate di Yangon non si vedono le magliette con il volto di Barack Obama come due anni fa, quando la sua visita, storica, era sulla bocca di tutti. Le persone con cui abbiamo parlato, non sono al corrente del suo arrivo.
Forse perché il vertice a cui parteciperà, si terrà a Naypyidaw, una città fantasma lontana, in tutti sensi, dalla popolazione birmana, o forse perché il popolo birmano, che per decenni ha sperato nell’aiuto della comunità internazionale, non si illude più su cosa i leader del mondo possono fare per portare la vera democrazia nel Myanmar.
Le magliette di Obama
Certo i cambiamenti sono evidenti. A cominciare dall’ossessione per i “selfie”, impensabile tre anni fa. Allora era raro avere un telefono, tanto più inviare fotografie. Ora “chattare” su viber e facebook è il passatempo preferito di molti giovani. I voli per il Myanmar sono sempre pieni, i prezzi degli alberghi alle stelle, i cantieri si moltiplicano. Ma ciò che succede a Yangon non succede nel resto del paese e le riforme sono “complicate”.
Alcune immagini da Yangon
Lo si capisce alla conferenza stampa di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e leader dell’opposizione. Ci sono decine di giornalisti, gli stessi che fino a due anni fa non potevano avvicinarsi al suo ufficio senza finire sulla lista nera del regime. È facile capire perché per molti Aung San Suu Kyi è sempre più una donna politica e sempre meno l’icona venerata da cosi tante persone. Il suo sorriso è grazioso come sempre, ma la sua espressione cambia e delude quando evita di rispondere ad una domanda sui Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata da anni e non riconosciuta dal Governo birmano. Sebbene il rispetto nei suoi confronti sia innegabile, aumentano le critiche per il suo silenzio su queste violazioni dei diritti umani. Del resto le tensioni tra musulmani e buddisti sono un tema caldo e controverso.
Un paese tra passato, presente e futuro
È chiaro che la pressione è immensa sulle persone chiave del nuovo Myanmar. Le aperture ci sono, cosi come gli abusi e le ingiustizie, tanto che la comunità internazionale teme un ritorno alla brutalità del passato. Non ci può essere un futuro democratico se non si risolvono i conflitti con le minoranze etniche e la firma per un cessate il fuoco nazionale, continua ad essere posticipata. La recente uccisione di un giornalista freelance conferma anche la fragilità di una libertà nata da poco e il disagio dei più intransigenti. Per il Presidente Thein Sein, che molti timidamente ammirano, il gioco di equilibrismo si fa sempre più duro.
Loretta Dalpozzo
La città di Naypyidaw