La morte a Sarajevo
Il "puzzle cinematografico" di Danis Tanovic a Berlino nel giorno della richiesta bosniaca di aderire all'UE
Nel giorno della richiesta ufficiale
della Bosnia-Erzegovina di entrare nell’Unione Europea, arriva alla Berlinale Smrt u Sarajevu (Morte a Sarajevo) del bosniaco Danis Tanovic. Coincidenza davvero significativa perché il film, ispirato alla pièce di Bernard-Henri Lévy Hotel Europa, appare come il tentativo di rappresentare la situazione politica e sociale del Paese attraverso un complesso (e riuscito) intreccio di filoni narrativi.
Le diverse storie si svolgono tutte in un albergo di lusso di Sarajevo, sullo sfondo dei preparativi per ricordare il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale. L’assistente del manager dell’albergo tenta di contenere le lamentele dei colleghi, capeggiati da sua madre impiegata in lavanderia, che pretendono il pagamento degli ultimi due mesi di lavoro.
Sul terrazzo una troupe televisiva
gira alcune interviste a storici, architetti e studiosi che analizzano come la città abbia rielaborato nel tempo l’attentato del 28 giugno 1914 e ciò che ne seguì. Fra gli ospiti c’è anche un omonimo del ragazzo che sparò a Francesco Ferdinando d’Asburgo.
E, sempre contemporaneamente, sembra che un politico francese provi il discorso per la serata nella sua suite. Solo alla fine si scopre che l’uomo è un attore – Jacques Weber nel ruolo di se stesso – che prova il suo monologo nella pièce di Lévy che va in scena la sera stessa.
Un gioco di rispecchiamenti, un puzzle che gioca sul tema del doppio (madre e figlia, realtà e finzione, i due Gavrilo Princip) tanto che la stessa giornalista afferma che
doppia è l’anima della Bosnia-Erzegovina
Un film labirintico che bene si attaglia a ritrarre una realtà tanto sfaccettata, e dove la tendenza al didascalismo di alcuni dialoghi viene recuperata da un ritmo sempre incalzante con continue e spiazzanti sorprese.
Francesca Felletti