Plusvalore
Mercoledì 12 dicembre 2018 alle 12:20
Il totale delle emissioni di gas a effetto serra è nuovamente aumentato nel 2018. In netta contro-tendenza con gli impegni sottoscritti da 193 paesi nel quadro dell’Accordo di Parigi sul clima. Un accordo multilaterale che incoraggia i singoli governi ad assumere impegni volontari di riduzione delle emissioni di CO2 ma senza nessun obbligo legale né sanzioni in caso di inadempienze comprovate.
I dati da alcune riviste scientifiche come Nature sono inequivocabili e temperano l’ottimismo di chi sperava in una progressiva diminuzione della quantità delle emissioni. Il messaggio degli scienziati è allarmante: se i trend attuali dovessero continuare, l’aumento medio della temperatura entro la fine di questo secolo sarà di 3 gradi centigradi. Per raggiungere l’obiettivo di un aumento di “soli” 1,5 gradi previsto dall’Accordo di Parigi le emissioni annuali dovrebbero essere dimezzate entro il 2030 e azzerate entro il 2050.
Ma se la maggioranza dei governi non rispettano gli accordi sottoscritti, su chi e cosa si può ancora sperare? È vero che l’evoluzione tecnologica potrebbe riservarci nuovi importanti ed insperati progressi ma le nuove tecnologie più sostenibili dovranno ancora essere adottate soprattutto dai paesi e regioni responsabili delle maggiori emissioni. Una sfida difficile, perché ormai i tempi stringono e la realtà politica quotidiana (vedi l’attuale rivolta dei gilets gialli francesi contro gli aumenti del prezzo dei carburanti) ci insegnano che le politiche fiscali ecologiche non coincidono ancora con le aspettative del ceto medio e popolare occidentale.
Le speranze di accelerazione del progresso tecnologico verso una maggiore sostenibilità ambientale e nell’utilizzo delle risorse naturali sono quindi sempre più legate al ruolo innovatore esercitato dalle imprese ed istituzioni finanziarie leader. Ovvero quelle convinte che, per evitare la “tragedia climatica all’orizzonte”, il modello tradizionale di business basato sull’ottenimento di profitti a corta scadenza deve cambiare. Ciò significa che un’impresa orientata verso il futuro non può esprimere pienamente le proprie potenzialità senza una visione a media-lunga scadenza ed un orientamento basato sì sulla sostenibilità finanziaria, ma anche su quella ambientale. Recentemente una compagnia petrolifera come la Royal Dutch Shell si è impegnata, già a partire dal 2019, a ridurre le proprie emissioni di CO2 nell’atmosfera. Riduzioni programmate sull’arco di 3-5 anni e incentivate dal fatto che il livello delle remunerazioni di 1200 quadri dirigenti dipenderanno dal raggiungimento degli obiettivi di riduzione prefissati. Una decisione motivata dalla pressione esercitata da importanti gruppi di azionisti istituzionali su consiglio di amministrazione e management della Shell. Questo esempio potrebbe spingere altre alleanze di azionisti a fare pressione su altre imprese petrolifere, produttori di elettricità e cemento e l’industria automobilistica affinché adottino strategie simili. La sfida è difficile perché la stessa Shell spende attualmente solo l’8% del suo budget d’investimento di US$25 miliardi nelle energie rinnovabili. Ma invertire la tendenza è urgente.
Per evitare la “tragedia climatica all’orizzonte” ed avere un futuro le imprese dovranno incorporare strategicamente la dimensione della sostenibilità ambientale.