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Moneta e linguaggio

Rete Due, giovedì 19 giugno 2014, 12:20

  • 19 giugno 2014, 14:20
Janet Yellen della Federal Reserve al New York Stock Exchange, 18 giugno 2014
  • Reuters

E' di ieri la decisione della Federal Reserve, la banca centrale americana, di continuare a mantenere i tassi d'interesse direttori prossimi allo zero e di ridurre di 10 miliardi di dollari (da 45 a 35 miliardi) l'acquisto mensile di obbligazioni del Tesoro e di obbligazioni ipotecarie. Quest'ultima misura di politica monetaria cosiddetta non-convenzionale era stata messa in atto oltre un anno e mezzo fa per stimolare la crescita economica statunitense grazie all'iniezione di quantità formidabili di liquidità. Si tratta di una strategia che, col passare del tempo, ha influenzato le politiche monetarie di tutte le maggiori banche centrali, dall'Inghilterra al Giappone finanche alla BCE che, tra le varie misure per stimolare la crescita, ha recentemente annunciato di voler anch'essa perseguire una politica di “allentamento quantitativo” (quantitative easing).

Non è affatto chiaro se queste politiche monetarie molto espansive siano davvero il modo migliore per far uscire le economie dallo stato di crisi, o comunque di stagnazione, in cui si trovano dal 2008 ad oggi. Nel caso degli Stati Uniti, dopo anni di credito facile, ci si trova confrontati con tassi di crescita anemici, un'inflazione che, seppur superiore a quella dell'eurozona, non sfonda il 2% e, soprattutto, con una disoccupazione in termini assoluti sempre parecchio elevata. L'unica cosa appurata è la crescita dei mercati finanziari e l'aumento del divario tra ricchi e poveri. E' lecito chiedersi se la politica monetaria espansiva in un periodo di trappola di liquidità non sia, di fatto, una politica a tutto vantaggio del rentier, di colui che vive di rendite finanziarie e basta.

E' per questa ragione che, a detta degli osservatori più attenti, la riunione della Federal Reserve è stata più che altro un esercizio di proiezioni relative all'andamento futuro del PIL, della disoccupazione e dell'inflazione. Ne è uscita una valutazione che lascia davvero perplessi, ossia che gli USA potrebbero muoversi per un certo periodo ad una velocità sostenuta e superiore alla crescita potenziale. Di fronte a questo scenario di crescita economica accelerata, i governatori della Fed si sono scoperti un po' più falchi, ossia maggiormente propensi ad aumentare i tassi d'interesse in tempi relativamente brevi (pare già a metà del prossimo anno). Si cita, ad esempio, la riduzione del tasso di disoccupazione e i suoi effetti sul costo del lavoro, ma tutti sanno che il minor tasso di disoccupazione è dovuto alla riduzione del tasso di partecipazione della forza-lavoro, cioè al fatto che molti disoccupati hanno ormai rinunciato a cercar lavoro.

E' comunque chiaro che la Fed ha voluto lanciare un messaggio ai mercati: d'ora in poi sappiate che è nostra intenzione alzare i tassi d'interesse. Sembra più a una mossa linguistica, per così dire, che una strategia fondata su dati reali. I filosofi del linguaggio chiamano performativo questo uso creativo delle parole, questo “fare cose con le parole”. Il che non dovrebbe sorpendere, vista l'inefficacia della politica monetaria nel perseguire i suoi scopi. Ma basterà dire per fare?

hristian Marazzi

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