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Pubblico e privato tra collaborazione e conflitto

di Gianfranco Fabi

  • 7 settembre 2018, 14:20
TiPress_Mendrisio: vignetta autostradale 2018
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Venerdì 07 settembre 2018 alle 12:20

La tragedia del crollo del ponte Morandi a metà agosto a Genova ha riportato in primo piano un tema che da sempre è al centro delle riflessioni e delle prese di posizione di economisti e politici: il rapporto tra Stato e mercato, tra pubblico e privato. In questo caso è stato messo sotto accusa il sistema delle concessioni, un sistema che permette che un bene pubblico, come un’autostrada, sia gestito da una società privata pur con tutti i controlli, le garanzie e gli impegni che lo Stato può e deve esigere.

Anche in Svizzera si è parlato della possibilità che le strade nazionali possano in futuro essere gestite da una società di diritto privato anche se con un capitale a maggioranza pubblica. Si supererebbe così l’attuale sistema che vede da vent’anni la competenza sulle infrastrutture stradali affidata all’Ufficio federale delle strade (Ustra) che è parte integrante del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni. Si tratta quindi di un ufficio statale che attua le decisioni dei Consiglio federale e che comunque non può che appaltare a sua volta ad imprese private la costruzione e la manutenzione della rete stradale.

Al di là delle connotazioni ideologiche, che restano comunque fondamentali in un giudizio politico sulla divisione dei compiti tra pubblico e privato, resta il fatto che in una società moderna non può che prevalere un equilibrio, necessariamente dinamico, per valorizzare gli elementi positivi di entrambi i settori: il benessere collettivo che è l’obiettivo fondamentale dello Stato, l’efficienza e il profitto altrettanto importanti per il privato.

Ci sono tuttavia tre elementi di fondo, soprattutto in un’ottica di gestione aziendale, che non vanno sottovalutati.

In primo luogo il compito dello Stato dovrebbe essere soprattutto quello di indirizzo e controllo. Se lo Stato diventa anche un operatore economico diretto si può creare una pericolosa convergenza di interessi se chi decide, esegue e controlla fa capo alla stessa entità.

In secondo luogo se è vero che le imprese hanno come obiettivo il profitto, è altrettanto vero che è ormai sempre più diffusa la giusta convinzione che il profitto lo si possa ottenere soprattutto se si difende la reputazione e si collocano le strategie aziendali in un’ottica di responsabilità sociale.

La terza riflessione riguarda la gestione aziendale. Nel settore pubblico prevale ancora la logica delle procedure e delle mansioni, ogni funzionario ha un compito da svolgere in modo chiaro e definito. Nel settore privato è ormai superato il sistema della catena di montaggio, dove ogni lavoratore aveva un impegno limitato e sempre uguale. Si sta affermando la strategia degli obiettivi: ai dipendenti è chiesto di partecipare alla vita dell’impresa attraverso una maggiore assunzione di responsabilità e magari con un pizzico di creatività favorendo l’efficienza e la produttività.

La dialettica tra pubblico e privato non va quindi affrontata in modo manicheo: tutto il bene da una parte, tutto il male dall’altra. In fondo la più grande rivoluzione culturale del secolo scorso è stata quella della Cina negli anni ’80, una rivoluzione segnata dall’apertura al mercato e dalla fine del rigido sistema comunista e caratterizzata dalla famosa frase di Deng Xiaoping, successore del presidente Mao: “Non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che prenda i topi”.

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