La Biennale Musica ha annunciato di aver conferito il Leone d’Oro alla carriera a Brian Eno, con una motivazione che si conclude così: “…la musica generativa e ambientale è pensata da Brian Eno come la creazione concettuale di un seme, capace di svilupparsi, piuttosto che come un albero già progettato in tutti i dettagli, invocando la nascita di un paradigma compositivo ispirato alla biologia piuttosto che all’architettura, capace di auto-evolvere e generare costantemente nuovi paesaggi sonori. Brian Eno ha ampliato il proprio percorso creativo interessando una molteplicità di discipline - pittura, scultura, videoarte.”
Si può immaginare che la presenza di Eno in un elenco di Leoni d’Oro alla carriera che include, solo per fare qualche esempio, nomi come Luciano Berio, Giacomo Manzoni, Helmut Lachenmann, Pierre Boulez, György Kurtág, possa aver provocato qualche disorientamento negli ambienti della musica contemporanea, nonostante precedenti come Keith Jarrett (che non ritirò il premio) o Steve Reich. Ma è anche difficile non notare che nella motivazione non c’è nessun riferimento specifico ad aspetti dell’attività e del pensiero musicale di Eno che è davvero difficile ignorare, come la composizione e l’interpretazione di influentissimi album di canzoni, e soprattutto la produzione di note pietre miliari della storia del rock, con artisti come David Bowie, i Talking Heads, gli U2 e altri. È vero, la motivazione parla dello “studio di registrazione concepito come meta-strumento compositivo, regno di elaborazione, moltiplicazione e montaggio di frammenti sonori registrati, simulacri acustici, oggetti sonori autonomi, ha permesso a Brian Eno di creare spazi elettronici immersivi che si trasformano e permeano la realtà acustica nella quale siamo immersi, modulandola secondo drammaturgie sempre cangianti.” Ma il riferimento a lavori come “Low”, “Remain in Light”, "The Joshua Tree”, “My Life in the Bush of Ghosts” suona davvero – inutilmente – generico e criptico. Una questione di stile? O di non troppo sottile imbarazzo?
Ne parliamo con i musicologi Franco Fabbri e Carla Moreni.
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