Il Monte San Giorgio è un vero e proprio scrigno del tempo. In particolare, i suoi strati rocciosi lo sono per un periodo che va da 245 a 230 milioni di anni fa, contenenti almeno 5 livelli fossiliferi diversi. I fossili che sono (stati) estratti dalla montagna – durante le campagne di scavi organizzate dagli enti preposti, infatti, la raccolta di fossili per i privati è vietata su tutto il monte - testimoniano di un ambiente di laguna tropicale, abitata da rettili, pesci e invertebrati. I paleontologi ci spiegano che doveva avere, più o meno, l’aspetto delle Maldive del giorno d’oggi. Tra Besano, paese adagiato sul lato italiano del Monte San Giorgio e Meride esisteva un bacino profondo fino ad un centinaio di metri. E a nord, verso il Monte San Salvatore, lo specchio d’acqua era delimitato da una scogliera oltre la quale, verso Lugano, si estendeva una laguna contornata da isolotti e vulcani. La quasi totale assenza di correnti marine, soprattutto in prossimità del fondo, rendeva l’ambiente assai calmo e povero di ossigeno.

La "piramide" del Monte San Giorgio si staglia dietro il Pontediga di Melide
Gli organismi marini vivevano nelle parti più superficiali del bacino, regolarmente ossigenate. Invece, le spoglie delle piante e degli animali che si depositavano sul fondo non venivano attaccate o distrutte da altri organismi, perché sul fondale non c’era ossigeno, né vita. I resti non venivano smembrati o dispersi dalle correnti e la rapida sedimentazione li proteggeva dalle influenze ambientali esterne. Era la tomba perfetta che spiega l’eccellente conservazione dei fossili. Poiché la laguna era prossima a terre emerse, comprende anche fossili di rettili, insetti e piante terrestri. Il risultato è una serie di associazioni fossilifere di grande ricchezza. Tanto ricca che la montagna piramidale del San Giorgio è considerata la miglior sequenza fossilifera per la vita marina nel Triassico Medio e per questa ragione riconosciuta e protetta dall’UNESCO.

Dalla vetta del Monte San Giorgio, in mezzo a uno scenario mozzafiato, si scorge "la scogliera" del Monte San Salvatore
Sul Monte San Giorgio ci si rese conto, scientificamente, dell’importante giacimento fossilifero dapprima sul lato italiano. Fra i pionieri , nel 1847 il geologo Giulio Curioni citò per la prima volta i fossili di Besano. Negli anni seguenti, i ritrovamenti di fossili a Besano furono legati all’estrazione di scisti bituminosi e a campagne di scavi scientifici organizzati dal Museo di Storia Naturale di Milano. Purtroppo, però gran parte del materiale catalogato, studiato e conservato al museo andò perduto nel corso della Seconda Guerra Mondiale quando, nel 1943, il museo milanese fu quasi completamente raso al suolo dai bombardamenti. Anche sul lato svizzero il ritrovamento delle importanti testimonianze di vita del triassico fu propiziato dall’estrazione di scisti bituminosi per la produzione di ittiolo, un unguento destinato alla cura di malattie della pelle. È frugando fra le rocce pronte per l’estrazione di ittiolo, nel deposito di Spinirolo (località di Meride), che Il paleontologo sciaffusano Bernhard Peyer, durante una visita allo stabilimento nel 1919, rinvenne un arto di ittiosauro ottimamente conservato. Questo ritrovamento segnò l’inizio di scavi più ampi, poco più di 100 anni fa, e dei successi della ricerca paleontologica sul Monte San Giorgio. Il percorso scientifico negli anni a seguire, tutti i ritrovamenti, gli scritti divulgativi e i contributi alla letteratura scientifica hanno dato lustro al Monte San Giorgio. E tutto ciò fornì gli argomenti necessari per permettere di iscrivere il Monte San Giorgio, e il suo giacimento fossilifero, fra siti del patrimonio mondiale naturale UNESCO. La parte svizzera, del Sito transnazionale, ottenne il riconoscimento dall’Unesco nel 2003; quella italiana nel 2010.

L'area del Sito transnazionale UNESCO del Monte San Giorgio. In rosso la zona centrale, in azzurro la zona periferica
In passato le campagne di scavo, le ricerche scientifiche e le pubblicazioni sono state curate dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Zurigo e da quello Civico di Storia Naturale di Milano. A partire dal 2006, per la parte svizzera, è il Museo cantonale di storia naturale di Lugano che organizza le campagne di scavo e assicura la valorizzazione scientifica dei numerosi reperti ritrovati. Ma, un conto è comunicare le scoperte fatte sul Monte San Giorgio all’interno della comunità scientifica, che da tempo, peraltro, si è già accorta della straordinarietà dei contenuti della sequenza di strati rocciosi presenti nella montagna, e un altro è quello di divulgare queste conoscenze al pubblico generalista.

La corte interna del Museo dei fossili del Monte San Giorgio
Il Museo dei fossili del Monte San Giorgio , e Visitor center UNESCO, dal 2012 è attivo nella nuova sede ampliata e rinnovata dall’architetto Mario Botta. E da allora non ha mai cessato di innovarsi e proporre modalità di fruizione dei suoi contenuti in linea con lo sviluppo delle tecnologie audiovisive. Con la guida del direttore del museo, Luca Zulliger e del Site Manager Daniele Albisetti, la narrazione dei contenuti paleontologici viaggia attraverso modalità sempre più innovative come la realtà virtuale e quella aumentata, ma non si tratta di semplici giochi per sbalordire il pubblico, il tutto è validato da paleontologi, da scienziati che verificano tutti i passaggi della trasformazione di un fossile in un modello tridimensionale, fino addirittura in un essere vivente virtuale che si muove e riproduce delle scene di vita avvenute 240 milioni di anni fa. Proporre ricostruzioni tridimensionali e animali virtuali ha particolarmente senso con i fossili del Monte San Giorgio, perché, seppur preparati con perizia, l’ironia della sorte vuole che qui i fossili siano particolarmente appiattiti, compressi dagli scisti. Sono così piatti che spesso per i profani è difficile visualizzare quale sia la loro forma.

Il paleoartista Beat Scheffold nel suo atelier di Winterthur con uno dei suoi ultimi modelli, un pesce del Triassico destinato al Museo dei fossili del Monte San Giorgio
È a questo punto che entra in scena Beat Scheffold, illustratore scientifico e paleoartista. Scheffold è considerato da tutti i conservatori dei musei un fuoriclasse nella costruzione di modelli tridimensionali di animali preistorici. Sono in tanti a fare la fila per ottenere un pezzo modellato dalle sue mani. Anche il Museo dei fossili del Monte San Giorgio “stacca il bigliettino” e aspetta il suo turno, con il piccolo vantaggio che tanti anni fa fu proprio un fossile proveniente dalla montagna ticinese ad affascinare il bambino Beat in vacanza al sud delle Alpi e a indirizzarlo verso una brillante carriera di illustratore scientifico e di paleoartista. Durante la sua attività ha ricostruito numerosi modelli di rettili, pesci e invertebrati del Triassico medio, mantenendo un approccio tradizionale nella realizzazione di modelli fisici. Grazie a una profonda conoscenza delle tecniche di lavorazione, degli strumenti e dei materiali impiegati, Scheffold riesce a ottenere risultati di grande accuratezza e realismo. La costruzione dei modelli è sorretta da un continuo dialogo con i paleontologi, per assicurare una riproduzione quanto più vicina alla realtà possibile di 240 milioni di anni fa. Ovviamente, soprattutto per quanto riguarda i colori, alla fine si tratta di pura immaginazione, seppur orientata dalle colorazioni sfoggiate dagli animali moderni.

Il Ticinosuchus fa bella mostra di sé nella hall del Museo dei fossili, il modello tridimensionale fisico lungo 2,5 metri di Beat Scheffold è uno dei punti di partenza per realizzare i modelli virtuali
Naturalmente nel Museo dei fossili del Monte San Giorgio sono esposti molti modelli di Scheffold. Costituiscono elementi espositivi spettacolari che catturano l’attenzione del pubblico e rappresentano soggetti che stimolano il dibattito scientifico sulla ricostruzione della vita nel Triassico medio, favorendo un dialogo continuo tra paleoartista e paleontologi. Sono proprio queste rappresentazioni così realistiche che hanno fornito la base per fare un ulteriore passo nel campo della mediazione culturale. I modelli fisici sono stati trasformati in modelli virtuali per istallazioni di realtà virtuale e realtà aumentata.

Realtà aumentata: il modello virtuale in 3D si sovrappone alla sua versione fossile "piatta"
L’autore del passaggio dal solido tridimensionale al virtuale sono Giovanni Landi, biologo e modellatore 3D, e Sherif Megahed artista e modellatore 3D. Di fatto, fanno lo stesso lavoro di Beat Scheffold con strumenti analoghi ma ovviamente tutto al computer, in ambiente virtuale, impiegando software presi in prestito dal mondo dei videogiochi e dei cartoni animati. “Acquario del triassico” (istallazione sviluppata in collaborazione con SUPSI), “Il mondo sommerso”, “Meride Beach” e, l’ultima arrivata, “Dragons Alive” sono le esperienze che permettono al visitatore del Museo dei fossili del Monte San Giorgio un’immersione fra gli esseri viventi che popolavano la laguna e le spiagge del Triassico. Gli animali preistorici virtuali corrono e nuotano negli spazi a loro dedicati adottando movimenti e strategie di caccia validati da paleontologi del calibro di Silvio Renesto, professore di paleontologia presso la sede di Varese dell’Università degli Studi dell’Insubria e grande conoscitore della fauna del Triassico.

Il nostro conduttore Christian Bernasconi (a sinistra) e il Site manager Daniele Albisetti alle prese con "Dragons Alive"
La potenza di questi mezzi di comunicazione è particolarmente visibile con l’ultima proposta di esperienza digitale al Museo di Meride, “Dragons Alive” basata sulla realtà aumentata. Pesci, sauri e invertebrati volteggiano accanto alle bacheche che riportano i fossili e le informazioni scientifiche sulla loro passata esistenza. Il visitatore visualizza appieno quelle che dovevano essere le forme e le movenze con un’esperienza che lo accompagna e che non lo immerge in una situazione ansiosa da videogioco. Al contrario, con tranquillità, la realtà aumentata impiegata in questo caso, permette al visitatore di approfittare appieno della narrazione, scientificamente corretta, di scene, di storie, avvenute 240 milioni di anni fa.

Alla fine è pur sempre il lavoro dei paleontologi che fornisce il materiale necessario per la narrazione di nuove storie
La digitalizzazione della mediazione culturale ha ancora ampi margini di sviluppo. Tuttavia, per animare il museo e valorizzare queste tecniche di comunicazione innovative, è fondamentale assicurare la continuazione del lavoro dei paleontologi — degli scienziati – per apportare anche in futuro nuove conoscenze e scoperte da raccontare.