Reportage

Bosnia ed Erzegovina oggi: tra cicatrici di guerra e speranze di pace

Sicurezza e tensioni, 30 anni dopo la fine del conflitto

  • 2 luglio, 05:57
  • 40 minuti fa
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  • Sabrina Melchionda
Di: Sabrina Melchionda 

Ma è sicuro? La preoccupazione di chi si chiede se andare in Bosnia ed Erzegovina sia una buona idea - comprenderemo - esprime l’ambivalenza di un Paese che a 30 anni dalla fine delle ostilità, non si è scrollato di dosso un conflitto che ha lacerato una nazione, amicizie e famiglie. Sì, la Bosnia ed Erzegovina (BiH) è sicura sebbene a scadenze più o meno regolari emergano attriti politici. A vigilare sulla situazione c’è pure la Svizzera, che partecipa all’European Union Force ALTHEA (EUFOR). È su una jeep dell’esercito, bianca e con le insegne della forza di pace internazionale ben visibili, che per due giorni andiamo al seguito di un suo contingente.

LOT Mostar

La prima impressione dell’Erzegovina è di déjà vu e poi capiamo. Paesaggio morbido, clima dolce, rocce calcaree, vegetazione mediterranea, distese di vigneti e ulivi: è come essere in Gargano. L’appuntamento è di buon’ora alla LOT House a Mostar, in una strada defilata della città più importante dell’Erzegovina, che è un unicum: ancora in gran parte divisa tra bosniaci-croati (cattolici) e bosgnacchi (musulmani), ha tutto doppio: ospedali, servizi, scuole (con libri e programmi di insegnamento diversi).

Dopo il briefing giornaliero partiamo per un giro di pattuglia a 36 km da lì. L’unità di norma è composta da due militi e un interprete, il quale però oggi ci cede il suo posto in auto e non viene. Come dice il nome del Team, i compiti - spiega il Team Commander C. F., alla guida - sono tenere i contatti con le persone (Liaison) e osservare (Observation). Occhi aperti sempre, dunque, alla ricerca di ogni dettaglio: un graffito che rappresenta simboli estremisti; il saluto ai soldati, che se non fatto o corrisposto può essere sintomo di tensioni.

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Percorriamo il lungo boulevard che costituiva la linea di fronte durante la guerra, passiamo a fianco della sniper tower e mentre la vita quotidiana ci scorre davanti, diversi edifici crivellati di colpi ricordano che 30 anni possono sembrare tanti, ma sono ieri. A Gnojnice, fuori Mostar, una montagnola di fronte all’aeroporto riporta all’epoca di Josip Tito: è un hangar ora abbandonato in cui si occultavano jet da guerra. La Jugoslavia è storia finita con la sua disgregazione; la storia attuale racconta di confini dentro i confini. Uno lo passiamo scollinando, annunciato da un enorme pannello con “Welcome to Republic of Srpska” scritto pure in cirillico. Non è una vera frontiera, ma è bene controllare che non ci sia nessuno a presidiare.

Nevesinje è tappezzata di bandiere della RS. Entriamo nella Croce Rossa locale, poi ci avviamo a piedi per le vie del piccolo centro. I passanti danno il buongiorno, chi a voce e chi con un cenno. Davanti alla moschea c’è la chiesa ortodossa, convivenza che non pone problemi: la vicinanza con Mostar, dove molte persone di qui lavorano, contribuisce a fare di Nevesinje una cittadina tollerante. Dalla casa di fianco esce un uomo, insiste nell’invitarci per un tè prima di eclissarsi. Quella che immaginiamo essere la moglie ci offre biscotti, cioccolatini e sorrisi, raccontando per una buona mezz’ora nella sua lingua dei suoi figli (o forse nipoti?) e di chissà cos’altro. Ma più che capirsi, conta esserci.

Rientrati a Mostar, passiamo sullo Stari Most, il simbolico Ponte Vecchio edificato dagli ottomani nel XVI secolo e distrutto dalle forze croato-bosniache nel novembre 1993, poi ricostruito grazie al sostegno internazionale. Ogni pochi metri una persona del posto ferma questo o quel milite del gruppetto svizzero che si fa largo a piedi tra i turisti che iniziano ad affollare le viuzze. È un buon segno.

Camp Butmir

Un primo controllo, poi un secondo dove riceviamo una visit card in cambio del passaporto che verrà restituito all’uscita. Il Camp Butmir di Sarajevo è una cittadella fortificata. Un sistema autonomo dal quale volendo (o dovendo), non c’è bisogno di uscire: stabili di ogni forma e colore portanti bandiere di diverse nazioni ospitano alloggi e uffici, negozi (il norvegese, quello USA), bar-ristori (il pub inglese e il bistrot francese), palestra, ufficio postale. Superiamo il Mine Action Center, perché esistono ancora aree contaminate da mine e l’EUFOR (come la Svizzera) lavora con la BiH per bonificarle. La pioggia non disturba l’esercitazione di un gruppo in tenuta anti sommossa; men che meno i molti soldati in uniforme che incrociamo a piedi, in bicicletta, su monopattini o veicoli dalle targhe varie. Dalla Dayton Road arriviamo al Quartier Generale dove, circondati dalle bandiere dei Paesi coinvolti nell’EUFOR, di NATO ed Unione Europea, si avvertono solennità e il peso della Storia.

Gli staff officers del piccolo contingente svizzero ci aspettano al secondo piano di un edificio condiviso col Cile. Il tavolino del locale bar è attraversato dall’invisibile linea che separa le due entità della BiH: se ti siedi di qua sei in RS, se ti siedi di là sei nella Federazione. Un caso. E un simbolo. O almeno è bello pensarlo.

Bosnia ed Erzegovina: dalla guerra a oggi

Storicamente stato multietnico, la Bosnia ed Erzegovina (BiH) dal 1946 al 1992 è parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

Territorio per lo più montuoso e collinare, è attraversato dalle Alpi Dinariche e si estende su una superficie di poco più di 51mila chilometri quadrati. Confina con Serbia, Montenegro e Croazia e ha come capitale Sarajevo. Prima della guerra, stando al censimento del 1991 i circa 4,4 milioni di abitanti sono per il 44% bosniaco-musulmani (in seguito chiamati bosgnacchi, per distinguerli dagli abitanti della BiH, detti bosniaci), per il 31% serbi e per il 17% croati (residenti in particolare in Erzegovina); mentre il 6% si dichiara jugoslavo.

La BiH è teatro di un cruento conflitto durato dal 1992 al 1995, che si inserisce in quelli scoppiati con la dissoluzione della Jugoslavia. Il 1° marzo 1992 al referendum sull’indipendenza della BiH votano a favore le comunità musulmana e croata, mentre i serbo-bosniaci boicottano la consultazione dichiarando la costituzione della Repubblica Srpska con capitale Pale.

La guerra in BiH scoppia nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1992 e provoca un numero imprecisato di morti, stimato attorno ai centomila, di cui quasi 40mila civili; e circa due milioni di profughi. Tra gli eventi più marcanti, l’assedio di Sarajevo (5 aprile 1992-29 febbraio 1996) che causa oltre 11mila vittime; e il massacro di Srebrenica di oltre ottomila bosgnacchi da parte dell’Esercito della Republika Srpska (11 luglio 1995), in seguito riconosciuto come genocidio.

Il conflitto termina nel novembre 1995, dopo un intervento militare della NATO. La pace è sancita dagli Accordi di Dayton sottoscritti il 21 novembre in Ohio (USA); la versione definitiva dell’accordo è firmata il 14 dicembre a Parigi.

Oggi la BiH è composta da due entità territoriali: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (51% del territorio) e la Republika Srpska (Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, 49%), più il distretto di Brcko (territori di entrambe le entità con autonomie amministrative proprie).

Secondo stime delle Nazioni Unite, nel 2005 gli abitanti sono circa 600mila in meno rispetto al 1991. Un calo conseguenza della guerra civile e dell’esodo, temporaneo o definitivo, di rifugiati. L’ultimo censimento ufficiale risale al 2013, quando il 50,1% si dichiara bosgnacco, il 30,8% serbo, il 15,4% croato. La popolazione attuale è stimata in 3,7 milioni di persone.

La Federazione è suddivisa in dieci cantoni, ognuno con proprie istituzioni (cinque a maggioranza bosgnacca, tre a maggioranza croata, due altri misti) e ha un parlamento a struttura bicamerale con una camera dei rappresentanti e una camera dei popoli. Mentre la Republika Srpska ha un’assemblea monocamerale.

La presidenza della BiH è un organo collegiale composto da tre membri che rappresentano i tre popoli costitutivi (bosgnacchi, serbi, croati); ogni membro, a rotazione, è presidente del Paese per otto mesi. In base agli accordi di Dayton, è presente un Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina. È la più alta carica della BiH con compiti di controllo, monitoraggio, supervisione, e il potere di imposizione di leggi e rimozione funzionari che ostacolino l’attuazione pace. Dal 1° agosto 2021 la carica è ricoperta dal tedesco Christian Schmidt.

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Srebrenica 30 anni dopo

Il Quotidiano 28.06.2025, 19:00

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