Cinema

Jack, Marlon, Humphrey e le scene mai scritte

La storia del cinema è costellata di momenti indimenticabili nati solo dall’istinto e dal genio degli attori. Ecco i film in cui l’improvvisazione è diventata cult, da “Taxi Driver” a “Lo Squalo”

  • 21 luglio, 15:02
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Jack Nicholson in "Shining" di Stanley Kubrick

  • © Warner Bros
Di: Nicola Lucchi 

In un mondo dispendioso come quello del cinema, un piccolo cambio di programma può significare la rovina. Ecco perché quella dell’improvvisazione potrebbe apparire come una pratica nociva. Proprio l’intuito dei registi e la loro capacità di affrontare gli imprevisti si è però manifestato più volte un elemento salvifico per molte pellicole. Herzog non avrebbe mai portato a termine Fitzcarraldo (1982) se si fosse arreso agli innumerevoli imprevisti derivati dal girare in una giungla, trasportare una vera nave in collina o gestire il feroce Klaus Kinski.

A proposito di “bestie pericolose”, Steven Spielberg non avrebbe raggiunto i livelli di tensione del suo Jaws (1975) se gli squali meccanici a cui si doveva affidare avessero funzionato a dovere, impedendogli di giocare magistralmente con la paura di ciò che non si vede. Ma se rivoluzionare il calendario delle riprese o salvare un film in montaggio può risultare indispensabile alla realizzazione di un progetto, meno dovrebbe esserlo inventarsi di sana pianta delle battute. Eppure, alcune tra le frasi più celebri del cinema non erano in copione.

È allora divertente immaginarsi l’espressione del regista Michael Curtiz, o quella degli sceneggiatori Julius e Philip Epstein, mentre dubbiosi si rigirano tra le mani il foglio che dovrebbe contenere la battuta appena recitata da Humphrey Bogart, che con le dita sfiora ancora il mento di Ingrid Bergman sul finale di Casablanca (1942). Inutile cercare, perché quel “Here’s looking at you, kid,” tradotto dal doppiaggio italiano in “Buona fortuna, bambina,” non era scritto. Pare che Bogie avesse già usato la battuta tra una scena e l’altra, parlando con Ingrid, ma che solo mettendola in scena si fossero tutti accorti della sua forza. Il tono affettuoso e leggermente ironico colpì a tal punto il regista che chiese di inserirla in altre parti del film, trasformando una frase improvvisata nella quint’essenza del romanticismo cinematografico, nonché dell’amore in grado di lasciar andare.

Memorabile è anche Marlon Brando che gioca con un gattino mentre si lamenta con l’ospite che gli ha appena chiesto un regolamento di conti: ritratto emblematico della dimensione del potere da Il Padrino (1972), minaccioso e allo stesso tempo umano. Il micio era stato trovato sul luogo delle riprese e ospitato sul set per arricchire la scena con un elemento che fosse in diretto contrasto con la severità del padrone di casa. Pare che le fusa del gatto tra le braccia di Brando si fecero tanto rumorose da coprire la voce dell’attore, che fu costretto a doppiarsi. Un villain spietato che ordina di uccidere accarezzando un gatto o mentre compie un gesto all’apparenza tenero è oggi uno dei cliché più utilizzati, ma che è figlio dell’improvvisazione, così come un’altra tra le frasi più celebri del film. “A’ pistola lasciala” non sarebbe infatti nulla se Peter Clemenza (Richard S. Castellano), memore di una precedente battuta della moglie, non avesse aggiunto di propria iniziativa “Pigliami i cannoli.” Una revisione che rese ancor più vivida l’umanità distorta del mafioso, nonché la “banalità” della violenza.

Tra le più note scene che non erano previste in sceneggiatura spicca però quella in cui un giovane Robert De Niro si guarda allo specchio con una pistola nascosta sotto la giacca. Nei panni del Travis Bickle di Taxi Driver (1976), De Niro fissa il proprio riflesso e recita: “You talkin’ to me? Then who the hell else are you talkin’ to?” La sfida, rivolta al proprio riflesso e al mondo intero, fu frutto dell’improvvisazione dell’attore, ma divenne voce del malessere urbano degli anni Settanta, nonché eco della rabbia muta che cerca uno sbocco. Scorsese fu tanto colpito dalla forza di quella scena da inserirla nel montaggio finale rendendola iconica, tanto che l’American Film Institute la collocò al decimo posto tra le cento migliori citazioni cinematografiche di tutti i tempi.

Potrebbe suonare improbabile, vista la sua nota mania del controllo, ma anche il genio calcolatore di Stanley Kubrick non fu immune all’estro creativo dei suoi attori che, in più di un’occasione, arricchirono delle sequenze ritenute poco convincenti dallo stesso regista. Accadde quando, in Shining (1980), Jack Nicholson infilò il suo faccione nello squarcio appena aperto con un’ascia nella porta, annunciando “Here’s Johnny” alla terrorizzata Shelley Duvall, ma soprattutto quando Malcolm McDowell improvvisò “I’m singing in the rain” durante la violenta irruzione a casa dello scrittore, in Arancia Meccanica (1971). Nel primo caso si trattò di una citazione dal Johnny Carson’s The Tonight Show, nel secondo di una libera interpretazione dell’attore, invitato dal regista a rendere la scena più vivace.

Che dire allora del monologo del sergente Hartman (Ronald Lee Ermey) in Full Metal Jacket (1987), del finto orgasmo di Meg Ryan in Harry ti presento Sally (1989), o del “lo so” pronunciato da Han Solo (Harrison Ford) in risposta al “ti amo” della Principessa Leia (Carrie Fisher). E visto che da Lo squalo abbiamo iniziato, perché non concludere con “ci serve una barca più grossa,” che Roy Scheider pronunciò rivolgendosi a Robert Shaw dopo aver visto le reali dimensioni della bestia che andavano cacciando. Una frase semplice che spezza la tensione della scena, strappando un sorriso là dove non era stato immaginato.

L’elenco potrebbe continuare, perché in fondo proprio questa capacità di inventare e reinventarsi è parte della magia del cinema. Malgrado sia l’arte del controllo e della pianificazione, il cinema trova spesso il suo apice nel fuori programma, nell’inatteso, nell’estro creativo di chi lo compone come uno spartito nel quale, una nota fuori posto, può trasformarsi in una svolta. È la dimostrazione che, qualche volta, il grande cinema nasce dove nessuno lo sta cercando. E forse è proprio per questo che ci resta dentro.

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  • Mario Fabio

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