dall'inviato a Fortaleza Omar Gargantini
Italia, Inghilterra e Uruguay. Sette titoli in tre. E poi, quasi fosse un orpello insignificante, messo lì giusto per completare il girone, Costa Rica. O Costarica. Nemmeno sul nome c’erano certezze. All’inizio facevano quasi tenerezza per non dire compassione. Al plurale, sì, perché il vero problema era capire se fosse il Costa Rica o la Costa Rica. Bisognava nominarli ogni tanto in cronaca e quindi ci si doveva mettere d’accordo. Era questo il vero problema.
Che potessero ergersi a rivelazione del Mondiale, con un valore di mercato della rosa appena superiore ai 23 milioni di franchi (il più basso del Mondiale per intenderci), era invece un pensiero talmente audace che non sfiorava nessuno. Nessuno di noi. Perché loro, i Ticos (che non vuol dire nulla, è solo il modo colloquiale con cui si chiamano in patria) al contrario avevano certezze più che speranze. Reduce da una Liga alla grande, il portiere Navas s’era persino sbilanciato: vogliamo fare meglio del ’90. Quando, per inciso, guidati da quel santone delle panchine che era Bora Milutinovic, Costa Rica arrivò agli ottavi. Una boutade, pareva: destinata a sgonfiarsi già alla prima partita: e i 45 minuti della sfida con l’Uruguay, sotto 1-0 con l’avversario che giochicchiava, pareva rafforzare la convinzione. Non era servito nemmeno imporre allo sponsor tecnico il cambio di maglie dopo che nella laboriosa fase di preparazione fatta di sconfitte e prestazioni modeste ci si era accorti che non permettevano di traspirare al meglio.
Tutto falso: a quel punto è cominciato il vero Mondiale di Costa Rica. Ribaltata la Celeste (da 0-1 a 3-1), battuta l’Italia e passaggio del turno blindato in anticipo. Con la prospettiva di chiudere davanti a tutti il cosiddetto girone della morte e incrociare poi un’altra Costa, d’Avorio (al femminile, nessun dubbio!). I quarti adesso sono per davvero un traguardo realistico.
Costa Rica, che anche senza il calcio è considerato il paese al mondo col tasso medio di felicità più alto (un modo complicato per dire che si vive alla grande), ha insomma dato un’autentica lezione al mondo: che ora la guarda con rispetto e ammirazione. Solo alla FIFA sono ancora increduli: prenderne sette per il controllo antidoping dopo l’1-0 agli azzurri non è stato molto elegante, quando di solito a far pipì sono chiamati in due per squadra.