Cultura

Essere felici oggi: si può?

In occasione del Lugano Happiness Forum, numerosi esperti internazionali si sono riuniti per discutere di un tema di grande rilevanza: la felicità nel mondo moderno

  • 13 settembre, 14:27
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  • IBSA Foundation
Di: Elia Bosco 

Il punto di partenza è la definizione di esistenza felice che Arthur Schopenhauer formula ne L’arte di essere felici:

La definizione di esistenza felice potrebbe essere questa. Un’esistenza tale che, considerata in termini puramente oggettivi – ovvero (poiché qui è in gioco un giudizio soggettivo) con una riflessione fredda e matura –, sarebbe decisamente da preferirsi alla non-esistenza. Il concetto di un’esistenza siffatta implica che dovremo esserle attaccati per ciò che essa è in se stessa e non solo per paura della morte, il che implica a sua volta che desideriamo vederla durare all’infinito. Com’è noto, alla domanda se la vita umana corrisponda, o possa corrispondere, a questo concetto di esistenza, la mia filosofia dà una risposta negativa. Ciononostante, l’eudemonologia presuppone senz’altro una risposta affermativa.

A. Schopenhauer, L’arte di essere felici esposta in 50 massime, a cura di F. Volpi, trad. it. di G. Gurisatti, Adelphi, Milano, 1997, p. 45.

Il tema della felicità ha accompagnato le riflessioni umane sin dall’Antichità. Aristotele la definì come la “buona realizzazione del proprio demone” (dal greco, eudaimonia), raggiungibile attraverso le virtù e secondo giusta misura. La massima di Schopenhauer – così come il sentire diffuso della nostra epoca –, dall’altro lato, sembra distanziarsi dall’insegnamento del sommo filosofo greco, fornendo una definizione di felicità che si avvicina più al concetto di illusione e di desiderio destinato a rimanere eternamente insoddisfatto. Ciò non significa, tuttavia, che ciascun essere umano debba rassegnarsi definitivamente ed accettare un’eterna infelicità: al contrario, anzi, ognuno di noi è tenuto ad almeno tentare di intraprendere un percorso che permetta di avvicinarsi alla felicità.

Recentemente, di questo tema si è occupato un convegno internazionale organizzato dal Center for Health and Happiness Forum della Harvard University di Boston, tenutosi a Lugano in collaborazione con l’USI e il LAC. Il confronto con diversi esperti anglo-americani permette di fare emergere prospettive e modi di intendere la felicità alternativi rispetto alla tradizione filosofica continentale, che, uniti a quest’ultima, cercano di rispondere alla fondamentale domanda: essere felici, oggi, è possibile?

Lina Simoneschi Finocchiaro ha seguito il Forum e raccolto alcune interviste, ma soprattutto con il filosofo Leonardo Caffo che si è occupato di felicità attraverso libri, progetti artistici e mostre, ci propone di attualizzare questi studi – di tradizione anglo-americana – per capire come possano adattarsi alla nostra cultura europeo-continentale.

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La prima voce è quella del Direttore del Center for Health and Happiness di Harvard Kasisomayajula “Vish” Viswanath. Il professore Viswanath crede che la felicità parta dal senso di gratitudine verso il mondo in cui viviamo: dire grazie, insomma, come espressione di riconoscenza della fortuna e del privilegio di cui godiamo in quanto individui inseriti in una società che ci aiuta. Chiaramente, come sottolinea Viswanath, non si possono obbligare le persone ad essere felici, ma di certo è possibile individuare le forze motrici che portano alla felicità. Tra queste troviamo i rapporti sociali, l’uguaglianza, le opportunità per migliorarsi e non essere privati delle necessità di base. In particolar modo, coltivare dei rapporti sociali sani e proficui, sia a livello umano che professionale, sembra essere il primo passo verso la felicità. Non è evidente, oggi, creare questo tipo di rapporti. Viswanath, tuttavia, individua delle strategie per andare nella giusta direzione. La prima si attua a livello individuale e parte dalla consapevolezza dell’importanza della rete sociale e del fatto che essa non cada dall’alto, bensì abbia bisogno di impegno e dedizione da parte dell’individuo per essere realizzata. La seconda strategia che il professore suggerisce è quella di migliorare le condizioni sul posto di lavoro, promuovendo rapporti sociali fra i collaboratori che non si esauriscano nell’ambito professionale, ma che si estendano al di fuori di esso. Insomma, la felicità è una responsabilità tanto individuale quanto collettiva e, in ultima analisi, consiste nel risultato delle nostre azioni quotidiane, a cui occorre dare importanza.

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  • Università della Svizzera italiana

La seconda voce è quella del Direttore dell’Istituto di Comunicazione e Salute dell’Università della Svizzera italiana Peter J. Schulz. Secondo Schulz, il tema della felicità interessa non solo la psicologia, l’economia, la comunicazione, ma anche la biologia, poiché esso è profondamente legato ai sentimenti umani, che sono la chiave di accesso privilegiata per comprendere la felicità. Come tutto il resto, ricorda Peter Schulz, i sentimenti sono in continua evoluzione e per questo molte cose sono ancora a noi sconosciute dal punto di vista scientifico. Sono pochissime, infatti, le certezze legate al benessere emotivo e la capacità di provare sentimenti è in continua evoluzione come lo è il cervello umano stesso. Di conseguenza, anche la comprensione scientifica della felicità è in continuo divenire. Tuttavia, i concetti sono rimasti gli stessi rispetto alle prime formulazioni filosofiche partorite nella Grecia antica e, per questo, il punto di partenza filosofico-concettuale, con cui le scienze sono tenute a confrontarsi, è un patrimonio disponibile e indispensabile per ulteriori indagini. Tutto ciò non significa che la scienza non abbia fatto passi avanti nello studio della felicità. Come sottolinea Peter Schulz, infatti, è stato scientificamente provato che l’esercizio fisico, uno dei temi più studiati nel campo della biomedicina, sia uno dei fattori che contribuiscono maggiormente alla felicità delle persone.

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  • Università della Svizzera italiana

La prossima voce è quella di Andrea Limonti, direttore dell’Institute of Oncology Research (IOR) di Bellinzona nonché membro del Comitato della Fondazione di Ricerca scientifica IBSA, uno degli enti organizzatori del Lugano Happiness Forum. Tra i molti temi di ricerca a cui l’IBSA dedica i propri studi, figura l’indagine sul rapporto tra felicità e longevità. Limonti afferma che esiste una correlazione tra sentimenti positivi e alcuni parametri biologici che impattano sulla nostra salute e, di conseguenza, sulla longevità. Anche se, allo stato attuale, la scienza non è ancora riuscita a provare direttamente tale correlazione, ci sono diversi esempi che testimoniano in maniera indiretta il legame, ad esempio, tra la depressione e l’insorgenza di alcuni tipi di tumore. Per questo motivo, alla terapia oncologica è sempre più spesso associata una terapia di supporto psicologico per aiutare i pazienti sia a tollerare meglio la cura, che a sopportare la malattia. Esistono, inoltre, delle teorie evoluzioniste che ci insegnano come i sentimenti positivi siano una sorta di regalo dell’evoluzione, tanto che essi ci permettono di adottare dei comportamenti positivi per il nostro stato di salute e di benessere: ciò ha una diretta conseguenza sulla nostra sopravvivenza e longevità.

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  • Happy Monday

In un panorama scientifico e culturale che offre sempre più spazio al problema della felicità, non sorprende emergano anche nuove figure professionali. Nonostante non sia ancora molto conosciuta alle nostre latitudini, la professione del Chief Happiness Officer è sempre più richiesta a livello aziendale. Aurelie Litynski se ne occupa e lo fa in Svizzera, a Zurigo. Il Chief Happiness Officer si occupa di incentivare l’interesse verso la sensibilizzazione su temi come il benessere sul posto di lavoro, basandosi su sistemi di feedback costruttivi che permettono di creare degli ambienti di lavoro sani e positivi. Il legame diretto tra emozioni positive e produttività è peraltro una conoscenza consolidata nel campo della psicologia, un dato di fatto a cui fare attenzione e su cui investire in ogni ambito professionale. Ci sono poi dei dati interessanti: secondo il rapporto State of the Global Workplace 2024 pubblicato da Gallup, solo il 54% degli svizzeri si ritiene soddisfatto del proprio impiego. Per risolvere e migliorare questa statistica, secondo Aurelie Litynski si possono attuare diverse strategie. Innanzitutto, agire a livello individuale per trovare la propria definizione di felicità, poiché essa è qualcosa che ci appartiene personalmente ed è responsabilità dell’individuo occuparsene. È anche molto importante, continua Litynski, individuare quali attività stimolano emozioni positive durante la giornata lavorativa. Per fare questo, la Chief Happiness Officer consiglia di stilare giornalmente degli highlights of the day e di riflettere sulle cose migliori accadute durante la giornata. Stimolare le relazioni professionali per rafforzare il senso di appartenenza, attraverso incontri ed eventi aziendali, infine, è qualcosa su cui occorre investire a livello dirigenziale per favorire un ambiente di lavoro sano e positivo.  

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Concludiamo con le riflessioni sulla felicità del filosofo Leonardo Caffo che, per la loro natura, affrontano il tema da una prospettiva diversa rispetto agli interlocutori precedenti, tutti membri della comunità scientifica internazionale. Caffo ricorda in primo luogo che, storicamente, la felicità può essere intesa facendo riferimento a due scuole di pensiero radicalmente diverse. La prima è quella ereditata dalla metodologia angloamericana, dove la felicità diventa un prodotto misurabile. La seconda, che in quanto europei ci appartiene maggiormente, è la tradizione continentale, dove la felicità non solo non è misurabile, ma è uno stato spesso irraggiungibile. Basti pensare, continua Leonardo Caffo, alla tradizione letteraria e poetica europea, dove la felicità è in gran parte vista come un orizzonte di irraggiungibilità: Schopenhauer nella tradizione in lingua tedesca, Leopardi nella tradizione di lingua italiana, Sartre in quella francese, sono tutti casi esemplari in questo senso. Nonostante i presupposti apparentemente pessimistici, anche nella tradizione continentale è dato largo spazio alla ricerca dello stato di felicità. Come detto, per la tradizione angloamericana è molto importante coltivare dei buoni rapporti sociali come primo passo verso la felicità. Tuttavia, Leonardo Caffo nota che oggi viviamo in una grande contraddizione, che è quella tra i rapporti sociali reali e i rapporti sociali non reali, che in qualche modo complica e amplia la definizione classica di amicizia. Di sicuro, continua il filosofo, una delle condizioni per realizzare la nostra felicità è l’avere buoni rapporti con l’altro da sé, e su questo non vi sono dubbi. È pur vero, allo stesso modo, che è impossibile avere buoni rapporti con tutti e perciò occorre comprendere i limiti delle possibilità sociali a cui possiamo tendere in quanto individui. Per Leonardo Caffo, la più grande conquista della rinnovata sensibilità verso il tema della felicità consiste nella riscoperta dell’intelligenza emotiva e sentimentale. In una società che ha costruito per millenni l’essere umano come animale razionale, avere oggi un’inversione di tendenza che vede l’essere umano come animale emotivo-sentimentale può favorire, secondo Caffo, dei cambiamenti strutturali dalla portata rivoluzionaria. Ciò significa, nel concreto, che sin dalla scuola bisogna investire non solo su una gara di intelligenza fatta di calcoli aritmetici o di sintassi e di analisi del testo, ma si deve tenere in conto che esistono varie forme di intelligenza di diversa natura. Dipingere, fare poesia, comporre musica, coltivare un orto sono tutte forme d’intelligenza per Leonardo Caffo equiparabili a quella logico-razionale, che devono essere prese sempre più sul serio per contribuire alla rivoluzione culturale permessa dalla comprensione che l’intelligenza emotiva e sentimentale costituisce, in ultima analisi, il fondamento della felicità.

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Essere felici oggi: si può?

Laser 02.09.2024, 09:00

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