Musica rock

E il punk andò alla disco

Viaggetto nelle forme mutanti delle musiche da ballo fra i ’70 e gli ‘80

  • Oggi, 10:58
John Lydon

John Lydon ai tempi dei PiL

  • Imago/Future Image
Di: Andrea Rigazzi 

Alla fine degli anni ’70 è chiaro negli ambienti che la formula del punk sta mostrando la corda. Musicalmente parlando, il No Future è una profezia autoavverante. Così, le band cresciute in quel periodo cominciano a esplorare nuove soluzioni compositive e produttive guardando con interesse alle musiche di derivazione afro: il dub giamaicano, l’afrobeat di campioni come Fela Kuti, il funk e la disco music. Quest’ultima dunque non attira solo scafati rocker alla Kiss (I Was Made for Lovin’ You) o alla Rod Stewart (Da Ya Think I’m Sexy?) ma anche le frange più alternative, che all’insegna del fai-da-te producono la loro, di disco.

Testimone illustre di questo passaggio, con i Public Image Ltd, è John Lydon (proprio lui, il Johnny Rotten dei Sex Pistols), che in Death Disco (1979) si dimena su tetre ritmiche da pista da ballo. Un brano che mescola basso funk, charlie di batteria insistente e Lago dei Cigni di Čajkovskij, frutto di una promessa fatta alla madre in punto di morte. 

In quel periodo sono diversi i gruppi che, da una parte e dall’altra dell’oceano Atlantico, sperimentano con questi nuovi, dinoccolati ritmi senza rinunciare a quello stile tagliente tipico del punk, in alcuni casi legandovi rivendicazioni politiche: Talking Heads, Gang of Four, Pop Group, A Certain Ratio. Per non parlare dei Blondie, che passeranno armi e bagagli nel dorato mondo del pop proprio grazie ad alcuni azzeccati singoli danzerecci (cose alla Heart of Glass, per intenderci). Poco tempo dopo, nel florilegio di stili che connotano il triplo LP Sandinista!, i Clash integreranno nel loro repertorio le stesse formule.

Aperta e chiusa parentesi: all’inizio dei Duemila assisteremo a una riproposizione di questa onda con gruppi come Rapture, Chk Chk Chk e Franz Ferdinand.

New York in quegli anni è la città dello Studio 54, forse la discoteca per eccellenza, nella quale non è infrequente incrociare clienti VIP come Mick Jagger. Nello stesso distretto, Manhattan, c’è il Lower East Side, all’epoca zona degradata dove regna lo spaccio. È fra quei cumuli di detriti che si radica la No wave: un pugno di band (DNA, Contortions, Teenage Jesus & The Jerks) che nell’approccio selvaggio del punk innestano una vena più d’avanguardia, nella quale in alcuni casi rientrano anche funk e disco. 

Della nidiata fanno parte anche i Bush Tetras, con il loro approccio essenziale alla materia e titoli eloquenti come You Can’t Be Funky, attraverso cui “desessualizzarono” la musica di provenienza disco trasformandola in “rhythm and paranoia”, per citare la loro bassista. Ci sono poi le ESG, un gruppo di sorelle afroamericane del Bronx, incoraggiate a fare musica dalla mamma così da stare lontane dalle cattive compagnie.

Lo chiameranno avant-funk o mutant disco. Dopo i fasti della post Febbre del sabato sera la disco music torna nel sotterraneo. Disco Not Disco è il titolo di una triplice compilation che raccoglie una selezione di ciò che accadeva in quel periodo. Scorrendone le scalette troviamo il compositore d’avanguardia Arthur Russell, i krautrocker Can (le cui vibrazioni funk molto hanno influito in questo discorso), Yoko Ono, Bill Lasswell e pure gli svizzeri Yello.

In tutto questo discorso, un caso singolare è rappresentato dai Liquid Liquid, in particolare dal loro singolo Cavern. Una linea di basso che ti conquista subito, e che attira le attenzioni di Grandmaster Flash, che la usa per costruirci la sua White Lines. Senza dare un soldo ai Liquid Liquid. Una vicenda che lascerà sentimenti contrastanti nella band: da una parte la frustrazione per il saccheggio subito, dall’altra l’orgoglio di essere piaciuti così tanto a un mito come Flash da convincerlo a prendere il loro pezzo.

Siamo agli albori dell’hip hop e della sua arte del campionamento, il riutilizzo di frammenti di altre canzoni per produrre le basi su cui rappare. E a proposito dei legami con il mondo disco dell’hip hop, non si può dimenticare come uno dei pezzi fondanti del genere, Rapper’s Delight della Sugarhill Gang, poggi sul basso di Good Times degli Chic. Si divaga ma neanche troppo, visto che è sempre a New York che l’hip hop prende forma in quegli stessi anni. 

Il mondo del rock sotterraneo continuerà a omaggiare a modo suo la disco. Nel 1993 usciranno due versioni di Lost in Music delle Sister Sledge: una firmata dai Fall (eminenze post-punk), l’altra da Anita Lane, che fece parte del giro dei Bad Seeds di Nick Cave. 

Verso la fine degli anni ’80 toccherà ad altre musiche da ballo cambiare il corso del rock. Parliamo delle pulsazioni elettroniche della acid house, che atterrata nel nord dell’Inghilterra affascinerà ragazzotti questa volta appassionati di rock psichedelico dei Sixties. Da questo incontro nascerà il Madchester, rock che si poteva benissimo ballare nei club i cui alfieri si chiameranno Stone Roses, Happy Mondays, Charlatans e Inspiral Carpets. Storia che ci teniamo per un’altra volta.

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