anniversari

Quella volta che Wim Wenders incontrò Scorsese (e tutte le altre)

Carlo Chatrian, direttore del Museo del Cinema di Torino, racconta il regista tedesco che oggi compie 80 anni

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Wim Wenders nel 2023

  • IMAGO / Starface
Di: Red. / Carlo Chatrian 

Racchiudere la ricchezza e la complessità di una persona – anche di una persona qualunque, ma soprattutto di un artista – è un’operazione pressoché impossibile, quasi sempre frustrante. Perché, per quanto la frase suoni ad effetto, è vero: si perde sempre un pezzetto della complessità di quella persona.
Se devo definire Wim Wenders, faccio fatica a riassumere in una frase la ricchezza di questo artista che da oltre 50 anni affascina il pubblico del mondo. Lo chiamerei un esploratore, perché di fatto Wenders – fin dagli inizi con la sua attività nella pittura, poi in maniera ancora più forte da quando si è dedicato al medium cinematografico – non ha mai smesso, fino all’ultimo film, di esplorare il mondo in cui abitiamo.
Sia in senso spaziale, nel macrocosmo e nei microcosmi, sia soprattutto in senso temporale: la forza delle sue analisi, delle sue visioni, dei suoi viaggi sta nel fatto che si tratta sempre di tuffi anche nel tempo. Ovviamente il riferimento va a Il cielo sopra Berlino, ma non solo. Ad esempio, proprio Nel corso del tempo è uno dei miei film preferiti…

Wim Wenders è un artista eclettico. Perché si esprime attraverso diversi medium, come mostra ad esempio la retrospettiva inaugurata proprio una settimana fa a Bonn, che ripercorre la sua carriera dando ampio spazio al suo lavoro di pittore, con degli acquerelli davvero affascinanti; ma anche a quello di fotografo, capace di tradurre in istantanee l’attimo fuggente o la complessità di un paesaggio – il paesaggio americano, un cimitero di auto, il corso di un fiume in Giappone...
Questo eclettismo ha trovato nel cinema – che è un’arte di per sé eclettica, perché è composta da tante altre arti – il suo strumento di espressione più efficace.
Nella mostra di Bonn, ogni sezione affronta un aspetto dell’arte cinematografica: la musica, ambito nel quale, ovviamente, a seconda dei nostri gusti ci può venire in mente Ry Cooder, Bono o i Madredeus; il suo lavoro con gli attori, e anche qui i riferimenti possono spaziare da Bruno Ganz a Kōji Yakusho, interprete del suo ultimo film Perfect Days; o ancora, il lavoro sugli spazi, che siano quelli della frontiera interna o quelli del grande continente americano, che è diventato un po’ la sua seconda patria.

26:31

Il cielo sopra Bruno Ganz

Laser 15.06.2018, 11:00

  • Keystone

La fascinazione nei confronti del continente americano arriva sicuramente dal cinema: per la generazione di Wenders – ma anche per la mia, e credo anche per molti più giovani – la porta d’ingresso al grande continente americano, la voglia di andare a visitarlo, viene proprio da alcuni film. I vecchi western, certo, ma anche film più recenti. Mi sembra molto evidente che la passione cinefila si sia poi tradotta nella volontà di confrontarsi anima e corpo con questo territorio, che è esuberante, e che Wenders è riuscito come pochi altri a raccontare da una doppia prospettiva: da una parte esterna, perché non è americano, e dall’altra interna, perché in America ci ha vissuto. Così, ha fatto dei film che sono profondamente americani: Paris Texas, ad esempio, racconta la solitudine della frontiera interna come pochi altri – tra l’altro avvalendosi di una straordinaria interprete che americana non era, come Nastassja Kinski, mettendola insieme a musiche, volti e paesaggi americani.

Vale la pena ricordare, per completare il quadro, che Wenders è regista di finzione e regista di documentari, ma entrambi i generi di film sono mossi dal suo desiderio di conoscere: conoscere più le persone che i luoghi, in questo caso, esplorandone in profondità la forza. Il Wenders documentarista è un regista che viaggia di meno, ma più in profondità. Personalmente, ricordo la proiezione di Pina in 3D alla Berlinale come un momento di illuminazione: di norma il 3D porta in avanti, porta l’immagine verso di noi come fosse un bassorilievo, mentre Wenders (che è comunque un grande esperto anche dal punto di vista tecnico), aveva usato il 3D per creare superfici che andavano indietro, e quindi il corpo era lo strumento per entrare dentro uno spazio che si apriva davanti a noi.
Anche negli altri film sembra esserci alla base questa grande voglia di conoscere le persone, oppure di esplorare fenomeni: la musica cubana, il lavoro di uno straordinario fotografo come Sebastião Salgado.

Questo desiderio, questo impulso di andare verso l’altro è qualcosa di commovente. Anche io, nel piccolo, l’ho sperimentato: quando dirigevo la Berlinale, Wenders a più riprese mi aveva contattato personalmente, ha accettato subito quando gli abbiamo proposto di consegnare il premio a Martin Scorsese, e ha raccontato un bellissimo aneddoto, di quando si sono incontrati nella Monument Valley, e Scorsese aveva la macchina bloccata. Quindi, da una parte la generosità, dall’altra l’impulso a conoscere meglio la persona che è di fronte, sono alla base della sua passione per la fiction, che poi si traduce anche nella pratica documentaria.

L’altra anima di Wenders, quella magari meno celebrata, ma riconosciuta da tutti, è rivelata, ad esempio, da Perfect Days: Wim Wenders è anche un grande romantico, un neoromantico. Non solo sa filmare luoghi e persone con precisione, ma appoggiandosi a degli archetipi sa costruire figure che restano impresse per sempre nella mente e nel cuore degli spettatori. Il protagonista di Perfect Days è una di queste figure, come l’angelo sopra Berlino, l’amico americano, come la stessa Nastassja Kinski di Paris, Texas che abbiamo citato poco fa…

Può sembrare un po’ surreale parlare di romanticismo per un film che racconta di una persona che pulisce i bagni. Però il romanticismo c’è, nel modo in cui la figura del protagonista viene tratteggiata con gentilezza. Wenders ha una maniera unica di avvicinarsi e poi allontanarsi dai suoi personaggi: da un lato ce li mostra nelle pieghe più intime, dall’altro ritorna alla giusta distanza e li inserisce in un contesto più ampio. Questo rapporto non è solo di piani di ripresa, è una forma di narrazione: estremamente affascinante ed estremamente efficace nel permettere allo spettatore di identificarsi o di proiettarsi nel personaggio, per poi vederlo con un po’ di distanza e quindi coglierne anche la grandezza, o la forza nostalgica.

La nostalgia è un altro elemento importante: il protagonista di Perfect Days, ad esempio, è inserito nel suo contesto, sembra vivere bene, ma in realtà ha una vita disfunzionale, non ha neanche un cellulare… questa parte, però, viene messa fuori campo, e fa passare questo personaggio come il più normale del mondo, come qualcuno a cui vorremmo stare a fianco, anche se in realtà non credo che siano molti quelli che desiderano frequentare un netturbino, o chi pulisce i bagni. In questo penso ci sia una grande lezione umana.

[Adattamento dell’intervista di Monica Bonetti, in onda su Rete Due, Alphaville, 14.08.25]

13:29

Buon compleanno Wim Wenders!

Alphaville 14.08.2025, 11:30

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  • Cristina Artoni

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