Arte

Brassaï

Il fotografo flâneur

  • 28 febbraio, 07:45
Brassaï, Il bacio, 1935-1937 circa © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Il bacio, 1935-1937 circa

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles
Di: Francesca Cogoni

«Ai piedi della cattedrale ci riposammo contemplando il mare di luci scintillanti. La notte esalta Parigi. L’illuminazione, più soffusa se la si vede dall’alto, attenua la crudeltà e lo squallore delle strade. Di notte, vista da Montmartre, Parigi è davvero magica; giace in una conca come un’enorme gemma scheggiata»
Henry Miller, Giorni tranquilli a Clichy

Brassaï, Veduta notturna su Parigi da Notre-Dame, 1933-1934 © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Veduta notturna su Parigi da Notre-Dame, 1933-1934

  • © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

Irriducibile nottambulo, amava Proust e Goethe, era colto e poliedrico e preferiva definirsi “creatore di immagini” piuttosto che fotografo. «Così come il poeta resuscita parole logore, anche il creatore di immagini si aggrappa a tutto ciò che è diventato consueto. È alle cose banali, inosservate, che bisogna restituire la loro virulenza originaria, per stupire con ciò che abbiamo in abbondanza sotto gli occhi tutti i giorni, con ciò che per abitudine non notiamo nemmeno più: penso sia questo il ruolo del creatore di immagini.» Un ruolo che Brassaï svolse alla perfezione. Con i suoi splendidi scatti ambientati in larga parte a Parigi, sua città d’adozione, ha cristallizzato per sempre il fascino e lo spirito di un’epoca, e ha fatto scuola grazie al suo stile peculiare, diventando un riferimento per tanti dopo di lui e un antesignano della street photography.

Brassaï, Parigi, 1936. Foto di Emiel van Moerkerken.jpg

Brassaï, Parigi, 1936

  • Foto di Emiel van Moerkerken

“L’occhio vivo” della fotografia: questo era l’appellativo datogli dall’amico Henry Miller, come lui expat e amante delle notti parigine. Sì, perché l’occhio di Brassaï era impareggiabile nel catturare la vitalità, l’euforia e il mistero che aleggiavano nella capitale francese durante i cosiddetti “anni folli”. Ne offrono una magnifica testimonianza le oltre duecento stampe d’epoca esposte a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, fino al prossimo 2 giugno, nell’ambito della mostra “Brassaï. L’occhio di Parigi”, che omaggia il grande fotografo a quarant’anni dalla sua morte.

Ironico e schietto, Brassaï si descriveva come «uno straniero venuto dalla frontiera tra Oriente e Occidente che guarda Parigi con il suo occhio transilvano». Gyula Halász, questo il suo vero nome, nasce infatti nel 1899 a Brassó (oggi Brasov, cittadina che dopo la Prima guerra mondiale passa dall’Ungheria alla Romania). Il suo primo incontro con la capitale francese avviene quando, a quattro anni, vi soggiorna temporaneamente con la famiglia per via del lavoro del padre, professore universitario di letteratura francese. La parentesi parigina, e in particolare i giochi al Jardin du Luxembourg, resteranno sempre tra i ricordi d’infanzia più vividi di Brassaï. Dopo gli studi di Belle Arti prima a Budapest e poi a Berlino, nel 1924 il giovane Brassaï approda nuovamente a Parigi, realizzando un desiderio covato da tempo. Non farà mai più ritorno nel suo paese natale.

Brassaï, La “Môme Bijou” al Bar de la Lune a Montmartre, 1932 © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, La “Môme Bijou” al Bar de la Lune a Montmartre, 1932

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Mentre si impegna a imparare il francese, Brassaï inizia a collaborare con alcune riviste di lingua ungherese e tedesca, scrivendo recensioni e disegnando caricature. Stabilitosi sulla rive gauche, in un albergo a pochi passi da Montparnasse, frequenta i principali ritrovi di artisti e intellettuali, i teatri e i cabaret. In questi primi anni nella Ville Lumière, sono due gli incontri determinanti per il suo avvicinamento alla fotografia: da una parte Eugène Atget, presentatogli da un amico mercante d’arte, dall’altra il connazionale André Kertész. Brassaï nutre grande ammirazione per entrambi i fotografi: del primo apprezza l’approccio da flâneur, che egli stesso adotterà; del secondo la curiosità per gli aspetti insoliti della realtà.

Brassaï, Autoritratto, Boulevard Saint-Jacques, Paris, 1930-1932. © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Autoritratto, Boulevard Saint-Jacques, Paris, 1930-1932

  • © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

Nel 1929, Brassaï decide di acquistare una Voigtländer, una fotocamera con lastre di vetro con cui inizia a catturare l’atmosfera e gli umori delle strade parigine, soprattutto quando, calato il sole, vengono illuminate dai lampioni, dalle luci delle vetrine o dalla luna. Talvolta nelle sue esplorazioni è accompagnato dagli amici Henry Miller e Jacques Prévert, ma spesso e volentieri vaga da solo. È un osservatore fine e attento, che posa il suo sguardo lento e ponderato su soggetti apparentemente ordinari, che conquistano sotto il suo obiettivo una nuova parvenza. A catturare l’attenzione del fotografo è la varia umanità che si aggira lungo la Senna, tra le piazze e i vicoli bui, le sale da ballo e le case di piacere, come lavoratori, malviventi, nottambuli solitari, prostitute e senzatetto. «Se tutto può diventare banale, tutto può ridiventare meraviglioso. A Parigi ero alla ricerca della poesia della nebbia che trasforma le cose, della poesia della notte che trasforma la città, della poesia del tempo che trasforma gli esseri» dirà.

Brassaï, La Tour Eiffel illuminata, 1931 ©Estate Brassaï Succession- Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, La Tour Eiffel illuminata, 1931

  • ©Estate Brassaï Succession- Philippe Ribeyrolles

È in questo periodo che Brassaï decide di adottare lo pseudonimo con cui sarà universalmente conosciuto. Nella sua camera d’albergo, allestisce una camera oscura per sviluppare le lastre di vetro e stampare le immagini («Un negativo non significa nulla per un fotografo come me, è solo la stampa dell’autore che conta. È per questo motivo che ho voluto sempre realizzare da solo le mie stampe»). In un autoritratto dei primi anni Trenta, lo vediamo all’opera per strada: in piedi con le mani in tasca, guarda nell’apparecchio fotografico, e intanto fuma una sigaretta, azione con cui è solito misurare il tempo d’esposizione («[…] una sigaretta Gauloise per una certa luce, un sigaro Boyard se era più scuro»).

Brassaï, Coppia alla balera Quatre Saisons in rue de Lappe, 1932 © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Coppia alla balera Quatre Saisons in rue de Lappe, 1932

  • © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

«[Brassaï] era soprattutto un uomo che camminava, e mentre camminava fissava lo sguardo sul suo tempo, sul familiare e sul quotidiano che intendeva esaltare come un saccheggiatore della bellezza in tutte le sue forme, riuscendo così a preservarla dal tempo e dall’oblio» scrive Philippe Ribeyrolles, nipote del fotografo, nel bel catalogo che accompagna la retrospettiva a Palazzo Reale. La multiforme bellezza ritratta da Brassaï si traduce nel 1933 in uno straordinario volume, Paris de nuit, divenuto nel tempo una pietra miliare nella storia della fotografia. La capitale francese, con le sue tante anime, appare avvolta da un’aura onirica, teatrale, per certi versi surreale. Brassaï ne immortala l’incanto e la magia, così come i vizi e le sregolatezze (anni dopo, rientrato in America, lo scrittore Henry Miller si ispirerà anche alle foto dell’amico per scrivere l’oltraggioso romanzo Giorni tranquilli a Clichy).

Brassaï, Serata di “alta moda”, 1935 © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Serata di “alta moda”, 1935

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Ambientatosi perfettamente nel milieu parigino, Brassaï ne diventa presto una delle personalità principali del fermento culturale. Le sue costanti frequentazioni con numerosi artisti e intellettuali danno origine a una serie di ritratti iconici, raccolti molti anni dopo nel libro Les artistes de ma vie del 1982. Tra i tanti, ricordiamo Alberto Giacometti, Georges Braque, Samuel Beckett, Eugène Ionesco, Salvador Dalí, Henri Matisse e, soprattutto, Picasso. Quest’ultimo, piacevolmente colpito dagli scatti notturni di Brassaï, nel 1932 gli chiede di fotografare le sue sculture, ancora poco conosciute. Le foto finiranno l’anno successivo sul primo numero della rivista d’arte “Minotaure”: è l’avvio di una intensa collaborazione tra il fotografo e gli artisti del movimento surrealista. Nonostante i ripetuti inviti di Breton, però, Brassaï non aderirà mai ufficialmente al gruppo, preferendo restare autonomo e affermando: «Il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico dallo sguardo. Cerco solo di esprimere la realtà, in quanto non c’è niente di più surreale».

Brassaï, Coppia con un marinaio sul ponte della torre Eiffel 1932 circa © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Coppia con un marinaio sul ponte della torre Eiffel 1932 circa

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Negli stessi anni, Brassaï inizia a nutrire un forte interesse per i graffiti lasciati da autori anonimi sui muri di Parigi. Li considera alla stregua di una forma d’arte primitiva, «l’istinto di sopravvivenza di tutti coloro che non possono erigere piramidi e cattedrali per lasciare il proprio nome ai posteri». Intraprende così un’approfondita ricerca che lo porterà a fotografare e schedare queste espressioni murali per oltre trent’anni, annotando meticolosamente luoghi, date, trasformazioni. Ricerca che culminerà in una mostra di successo organizzata da Edward Steichen al MoMA di New York nel 1956, e che darà vita infine a un affascinante libro: Graffiti (1960).

Brassaï, Un “cattivo ragazzo” in appostamento, 1931-1932 circa, © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Un “cattivo ragazzo” in appostamento, 1931-1932 circa

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Forte dell’ottimo apprezzamento riscosso dalla sua attività fotografica, Brassaï acquista presto notorietà anche fuori dai confini francesi e avvia nel 1937 una duratura collaborazione con la prestigiosa rivista americana “Harper’s Bazaar”, per la quale realizza innumerevoli ritratti, ma anche reportage di viaggio. Intorno al 1960, però, mentre i suoi scatti girano il mondo, Brassaï decide di accantonare la fotocamera e indirizzare il suo talento verso altre forme espressive: innanzitutto il disegno, mai del tutto abbandonato, e poi la scultura, il cinema, l’ideazione di scenografie teatrali, e naturalmente la scrittura. Insofferente a qualsiasi limitazione della propria immaginazione e curiosità, dichiara: «La mia sola scusa per il fatto di dedicarmi a espressioni così diverse sta nella mia profonda avversione per ogni specializzazione, che considero una delle tante tare della nostra epoca».

Brassaï, Coppia di amanti in un piccolo caffè parigino in place de Clichy 1932 circa © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles.jpg

Brassaï, Coppia di amanti in un piccolo caffè parigino in place de Clichy 1932 circa

  • © Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles

Oggi la varietà di opere concepite da Brassaï e i tanti interessi coltivati nel corso della sua lunga e sorprendente carriera continuano a raccontarci del suo genio sfaccettato, della costante volontà di rendere «il mondo allo stesso tempo più strano e meno estraneo» ‒ per usare le parole dello scrittore Roger Grenier ‒ e del continuo desiderio di stupire e stupirsi. Non per nulla, Brassaï era solito affermare che «lo stupore è la vetta più alta che un uomo possa raggiungere».

Quando l’immagine mente

Geronimo 06.11.2018, 11:35

  • iStock

Ti potrebbe interessare