Teatro

Il mondo ha bisogno di supereroine

Il “Wonder Woman” di Latella e Bellini porta in scena un fatto di cronaca in un oratorio laico. Al LAC il 13 e 14 maggio

  • Oggi, 08:30
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"Wonder Woman" - LAC Lugano

  • © Andrea Macchia
Di: Valentina Grignoli 

Martedì 13 e mercoledì 14 maggio al LAC di Lugano lo spettacolo Wonder Woman di
Antonio Latella e Federico Bellini, per la regia di Antonio Latella.
Una produzione TPE - Teatro Piemonte Europa.
Con: Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti
Costumi: Simona D’amico
Musiche e suono: Franco Visioli
Movimenti: Francesco Manetti, Isacco Venturini

Ancona, 2015. Un gruppo di uomini violenta una ragazza peruviana. Gli assalitori saranno assolti in appello da un collegio di tre magistrate e una giudice perché la vittima era, loro definizione, «troppo mascolina e scaltra». Non abbastanza attraente da portarli a perdere il controllo insomma, soprattutto se si considera che uno degli uomini aveva il suo numero salvato in rubrica sotto l’appellativo di ‘Vichinga’. Questi fatti sono stati resi pubblici. Poi la Cassazione rovescia il giudizio di secondo grado, condannando gli autori della violenza sessuale, ma la memoria di quella prima decisione, e la scia di sporcizia che si lascia dietro, permane.

Questo il punto di partenza di Wonder Woman spettacolo debuttato in Germania nel 2021, scritto e diretto da Federico Bellini e Antonio Latella, approdato al Teatro Astra TPE di Torino l’anno scorso e che, dopo una tournée nei teatri italiani, il 13 e 14 maggio è al LAC di Lugano.
«Quanto è sventurata la terra che ha bisogno di eroi», il nostro tempo attuale, intriso di contraddizioni, disuguaglianze e ingiustizie, dicono gli autori. Il testo nasce in parallelo a un’altra opera, Zorro, dedicata alla povertà e sempre legata alla figura di un giustiziere. Entrambe portate in scena da quattro attori, a ricordarci quel Godot che tutti ancora attendiamo, entrambe portavoci di una visione. È uscito proprio in questi giorni, per il Saggiatore, il volume Dittico, presentato al Piccolo Teatro di Milano, che riunisce le due drammaturgie, con una prefazione di Claudio Longhi.

Siamo ormai abituati a conoscere Latella e Bellini per quel lavoro di ottima rivisitazione di classici, per lo meno in Italia. Ma parte della loro vita professionale è in terra germanofona, non dimentichiamolo, e qui viene spesso richiesta anche la scrittura di opere originali.
Perché portare in Italia queste due opere? Da dove nasce l’urgenza di aderire alle disuguaglianze del nostro tempo e gridare a gran voce il nostro bisogno di eroi?
Lo abbiamo chiesto a Federico Bellini.
«I due testi sono nati abbastanza casualmente. Mentre stavamo scrivendo Zorro, incentrato sul tema della povertà, si parlò di questo caso di cronaca ad Ancona e scrivemmo così contemporaneamente anche Wonder Woman. Fu un fatto di cronaca molto forte che ci costrinse a riflettere. In Germania i due spettacoli erano rappresentati come dittico in un’unica serata.».

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"Wonder Woman" - LAC Lugano

  • © Andrea Macchia

Due eroi contemporanei, quattro attori in scena.
«Questi sono eroi che combattono le ingiustizie, per noi era fondamentale! Denunciano e vanno a sopperire la mancanza istituzionale che dovrebbe garantire la giustizia in tutte le sue declinazioni. Abbiamo purtroppo spesso bisogno di supereroi, lì dove dovrebbe essere una normale amministrazione civile ad occuparsene. I supereroi del resto nascono sempre quando c’è una crisi di valori, istituzionale ed economica».

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Wonder Woman, 1941

  • DC Comics - Wikipedia

Concentriamoci sulla prima supereroina della storia della DC Comics, Wonder Woman. Era il 1941 quando venne creata da William Moulton Marston, psicologo incaricato di analizzare la produzione della DC Comics, al fine di proporre dei suggerimenti. Marston fece notare che mancavano protagoniste femminili e, insieme al disegnatore Harry G. Peters, creò Diana Prince: Wonder Woman. Marston stesso teorico del femminismo, dichiarò di averla creata per offrire un simbolo alle donne, un modello che fosse in grado di portare avanti con forza le loro idee e il loro mondo. Non solo, Wonder Woman, paragonata a un’amazzone, si farà ambasciatrice anche contro la violenza sulle donne.

Per Bellini, «è legata molto al suo creatore, che è anche l’inventore della macchina della verità. Il lazo della verità è il lazo che dovrebbe usare la ragazza peruviana protagonista della triste vicenda di Ancona». Che dopo aver avuto il coraggio di raccontare la verità alle autorità, passerà ingiustamente nell’opinione pubblica, a causa della prima assoluzione, da vittima a carnefice.

Come viene portata in scena la vicenda?
«Abbiamo diviso un monologo in quattro parti, abbiamo cercato di far parlare la storia non solo attraverso un monologo, ma come un oratorio laico in cui le quattro attrici si passano la partitura». Quattro donne che portano così Nina - questo il nome di ispirazione cechoviana attribuito alla ragazza, che come la protagonista del Gabbiano è emblema di una giovinezza tradita e offesa - sulla scena, ma non solo lei. È un oratorio teatrale giudiziario, quasi un’Istruttoria, ma qui sembra di capire che si vada oltre al processo, oltre i fatti accaduti, c’è anche un coro, entra così prepotentemente la tragedia greca: «Sì, c’è molta tragedia greca. Un lungo coro, si fa fatica a parlare di personaggi, c’è certamente la vicenda di questa ragazza, ma nel racconto, come fa la tragedia, c’è anche il racconto corale che viene diviso in punti di vista differenti e le affermazioni più forti provengono proprio dal coro».

Tornando ai fatti concreti, nel 2015 una ragazza peruviana espone una denuncia di stupro ad Ancona, vergognosa è la sentenza declamata all’unisono dalle interpreti: una giuria di sole donne dichiara infatti in Corte d’Appello (con un verdetto poi fortunatamente ribaltato in Cassazione) che il fatto non può sussistere data «la personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina» della giovane.

Come reagisce l’opinione pubblica? Cosa dicono e fanno i media? Sembra di essere all’ascolto di un notiziario, un talk show un documentario o un podcast di true crime, invece per fortuna siamo a teatro.
Cosa può questa forma rispetto a quella documentaristica?
«Prima di tutto, c’é anche il teatro documentario, che è rappresentativo, riporta i fatti. Nel nostro teatro, nel nostro caso, il fatto di cronaca non viene solo rappresentato, ma anche trasformato. Ne esce uno spettacolo vero, che può dare tanto, ha riferimenti con il teatro greco, con la storia del teatro. Passa da un altro livello di percezione, più emotivo. Un fatto di cronaca lo puoi leggere, ti arriva, e questo accade anche nel teatro verità. Il teatro però ha anche il compito di sublimare i fatti, di fare arrivare allo spettatore anche punti di vista scomodi, cosa che la cronaca non porterebbe mai fare. Questo coro, per esempio, in Wonder Woman, a un certo punto prende il ruolo dei carnefici. Come spettatore attraversi quindi vari stati di percezione. Ed è molto diverso dallo stato in cui ti porterebbe una semplice lettura» .

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"Wonder Woman" - LAC Lugano

  • © Andrea Macchia

Quanto bisogno abbiamo oggi di narrazioni come queste?
«Tanto, l’obiettivo non è quello di riportare, ma sfigurare il fatto di cronaca. Non riportare punti di vista univoci, ma di far riflettere». Insomma, uscire da teatro un po’ smarriti, con più domande che risposte, e l’impressione di aver fatto un viaggio all’inferno.

In Wonder Woman alla berlina un sistema patriarcale, una società di contrasti e ingiustizie. Fa riflettere questa prima sentenza contro la ragazza peruviana ad opera di donne dalle quali al contrario ci si aspetterebbe se non sorellanza, per lo meno protezione e comprensione.
«Sì, per quanto mi riguarda questo è uno dei motivi di interesse. La sentenza promulgata da queste donne. Noi siamo abituati a dare una connotazione maschile al patriarcato, ma basta assistere a quel che avviene in politica oggi per rendersi conto che il patriarcato spesso viene portato avanti proprio dalle donne. Molte donne. È interessante, perché sembrano remare contro loro stesse. Non vogliono l’indipendenza. Sembra estremo. Facile dal nostro punto di vista, noi siamo progressisti, ma ci sono donne che non rivendicano questa idea».

Federico Bellini (Forlì, 1976) è un drammaturgo e traduttore. Da oltre vent’anni lavora con Antonio Latella alla realizzazione dei suoi spettacoli.

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