Musica

Maison Gainsbourg: un anno dopo

Viaggio nell’appartamento-universo del cantautore francese, nel IV arrondissement di Parigi

  • 21.09.2024, 08:00
  • 07.10.2024, 09:20
Serge Gainsbourg’s official portrait. © Tony Frank, 1985.jpg

Ritratto di Gainsbourg

  • © Tony Frank, 1985
Di: Raffaele Pedrazzini 

Il leggendario domicilio di Serge Gainsbourg, situato al 5 bis di Rue de Verneuil nel IV arrondissement di Parigi, ha aperto i battenti il 21 settembre 2023. Da allora, pressoché centomila visitatori hanno visitato quest’iconico luogo, fedelmente preservato dalla figlia Charlotte Gainsbourg, che ha deciso di mantenere ogni dettaglio esattamente come lo aveva lasciato il padre, morto nel 1991. Poco distante, al numero 14 della stessa via, la visita continua con un museo dedicato all’artista, dove sono esposti 450 tra oggetti personali, documenti e video che tracciano la vita e la carriera del musicista, offrendo uno sguardo unico nelle sfumature più personali e tormentate della sua intimità. Nel percorso, strutturato in modo cronologico, spicca l’originale della scultura di Claude Lalanne, L’Homme à tête de chou, opera che fa da copertina all’omonimo album di Gainsbourg.

È un viaggio nella memoria, nelle ombre, ma anche in una sensualità che si respira. Tutta la complessità del musicista-poeta trasandato, al crocicchio tra jazz e canzone francese, e con quell’alone da dandy maledetto, nato all’anagrafe come Ginsburg, metamorfizzato in Gainsbourg e poi diventato Gainsbarre, si snoda nelle mura di una casa che ha ancora l’odore delle sue Gitanes, e che trasuda ancora di quegli amori potenti, come lo fu con Jane Birkin e ancor prima, e anche in modo più burrascoso, con quella bellezza mozzafiato che fu Brigitte Bardot, la cui gigantografia inedita troneggia nel salotto.

A guidare il visitatore è Charlotte Gainsbourg, che con voce morbida e velata dal ritmo di qualche nostalgico singhiozzo, sbobina la sua infanzia trascorsa proprio tra quelle mura. Con dolci parole invita il visitatore a seguirla nel cuore della sua memoria: “Entra, vieni, ho le chiavi, ti apro la porta…”. Attraverso il suo racconto, ci accompagna in un viaggio che intreccia la sua storia con quella del padre, svelando non solo l’artista singolare che fu, ma anche l’uomo complesso e fragile che segnò la sua vita. Dalla storia dei vari oggetti, dallo Steinway ai dischi d’oro, e a testimonianza della diversificata attività artistica di Serge — ne racconta anche il suo lavoro pittorico, attraverso alcune opere accatastate nel salotto.

Nell’ufficio-biblioteca, autentica fucina traboccante di volumi e di esotiche referenze letterarie, si rintracciano anche le radici del primo materiale sonoro di Gainsbourg, fortemente ispirato dalla letteratura post-bellica. Un esempio chiaro sono i poemi di Prévert, che costituirono per lui un modello lirico fondamentale. Non meno importante è l’influenza di Baudelaire, da cui attinse la vena trasgressiva e la bellezza decadente, che emerge in dischi come N°2 (1959) e Histoire de Melody Nelson (1971). Diverse prime edizioni, alcune annotate, testimoniano queste influenze, che lo spinsero a esplorare, tra l’altro, le zone d’ombra dell’esistenza umana, celebrando il marginale e il controverso, ed esaltando quel romanticismo cinico di cui si ritrova anche traccia nel lavoro più tardo. Da cornice agli innumerevoli testi letterari e a diverse collezioni sulla letteratura classica, ciò che salta all’occhio, è la moltitudine di libri di anatomia umana, che fanno eco ad una gigantesca poltrona da dentista inglese, posta dietro a una piccola scrivania che nasconde alcuni magazine di lifestyle dell’epoca. Insomma, c’è un po’ di tutto, e quella stessa ricchezza si ritrova anche nell’uso della lingua di cui Gainsbourg ci lascia un’altrettanta importante eredità, avendo composto anche per France Gall, Françoise Hardy, Johnny Halliday, e tanti altri.

Exhibition view from the first temporary exhibition - “Je t’aime… moi non plus”. © Alexis Raimbault for Maison Gainsbourg, 2023.jpg

Vista della prima esposizione temporale “Je t’aime… moi non plus”

  • © Alexis Raimbault per la Maison Gainsbourg, 2023

Usciti dalla casa, al numero 14, si trova il museo. Una piccola porta nera si apre su un corridoio lunghissimo, fiancheggiato da un lato da fotografie, lettere, ritagli di giornali, abiti, sculture e spartiti. Dall’altro, grandi schermi proiettano brevi sequenze della vita di Serge: momenti di composizione, esibizioni, scorci di vita quotidiana. Alla fine del corridoio, una scala conduce ad una sala sotterranea, dove una parete è decorata con decine di copertine del singolo Je t’aime… moi non plus nella sua prima edizione rilasciata dall’etichetta Fontana. Qui, il brano viene riprodotto ininterrottamente. Composto originariamente per Brigitte Bardot, che gli chiese di scrivere “la canzone d’amore più bella del mondo”, dove il gioco di sospiri (gemiti) simula l’amplesso tra un uomo e una donna, il visitatore, anche a distanza di decenni, cade nel fascino di quegli anni intensissimi, che segnarono indelebilmente l’immaginario collettivo. Ogni nota, ogni sussurro, porta ancora con sé la promessa di una rivoluzione, personale o collettiva. Ed è proprio nel solco dei tumulti del ’68, dove le tensioni erotiche e ribelli, atte a rompere tabù e a sfidare convinzioni, che quest’inno generazionale conserva ancor oggi tutta la sua potenza evocativa e provocatoria. Lasciata la sala d’ascolto, una minuscola scala riporta al pian terreno, dove è situato il Gainsbarre, piano bar decorato in carta stampata nera e i cui mobili e decorazioni s’ispirano alla casa appena visitata. Alle pareti, una serie di poster che celebrano l’artista. L’atmosfera è suggestiva e ricorda vagamente il Madame Arthur situato a Pigalle, uno dei primi locali dove Gainsbourg si esibì.

Le Gainsbarre (detail, alcove). © Alexis Raimbault for Maison Gainsbourg, 2023.jpg

Le Gainsbarre (alcova)

  • © Alexis Raimbault per la Maison Gainsbourg, 2023

In questi giorni, in cui l’autunno è alle porte, i versi di Verlaine Et je m’en vais / Au vent mauvais / Qui m’emporte / Deçà, delà, / Pareil à la / Feuille morte rimaneggiati in Je suis venu te dire que je m’en vais riecheggiano nelle strade della Ville Lumière, quasi a riflesso dell’anima di Gainsbourg, la cui malinconia si mescola al senso inesorabile del tempo che scorre, dell’amore che svanisce e dei ricordi che sbiadiscono. Alla Maison Gainsbourg, però, quell’autunno interiore (o metereologico che sia), fatto di bellezza e malinconia, continua a vivere, immune allo scorrere del tempo, offrendoci, parafrasando Gozzano, una via del rifugio, dove l’arte sublima dolore e nostalgia in poesia.

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