Arte

Vilhelm Hammershøi, la lirica dei toni

Il grande pittore danese dei silenzi a Rovigo, una mostra da non perdere assolutamente. Fino al 29 giugno a Rovigo, Palazzo Roverella

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Vilhelm Hammershøi, Doppio ritratto dell’artista e della moglie visti attraverso uno specchio, 1911

  • Schierensee, Günther Fielmann Foundation
Di: Vito Calabretta 

Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia è la prima mostra italiana dedicata al maestro danese. Allestita al Palazzo Roverella di Rovigo, dal 21 febbraio al 29 giugno, ci consente, attraverso la selezione di alcune tele dell’artista, di ritornare sull’importanza del suo contributo e sul suo fascino misterioso. La curatela è di Paolo Bolpagni.

La stanza in cui abitiamo siamo noi stessi.

Philippe Delerm, Intérieur. Une rencontre avec Vilhelm Hammershøi, Bordeaux, Éditions Elytis, 2009

«Io penso assolutamente che meno colori ci sono in un quadro, meglio funziona da un punto di vista puramente coloristico», così dichiara Vilhelm Hammershøi nel 1907, in uno dei rari testi lasciati. Artista concentrato sul fare il proprio lavoro e disinteressato a discuterne.
Nato a Copenaghen nel 1864 (morirà piuttosto giovane nel 1916), di condizione sociale agiata, viaggia molto e trascorre periodi in Inghilterra, in Francia, in Italia. A Copenhagen, dove studia, conosce una formazione accademica classica e una moderna, impregnata delle tendenze e delle ricerche artistiche della seconda metà del XIX secolo.

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Vilhelm Hammershøi, Luce del sole nel salotto III. Strandgade 30, 1903 - Nationalmuseum, Stoccolma

  • © Nationalmuseum / foto Cecilia Heisser

Investendo molto lavoro in ogni singola opera, Vilhelm Hammershøi era molto interessato ai contenuti geometrici, per concentrarsi sui quali procedeva a sottrarre elementi alla fonte delle proprie rappresentazioni. È un pittore assolutamente normale, come egli stesso dichiarava a proposito della propria scelta cromatica, che dipinge interni domestici, figure umane, il fratello, gli amici, la moglie Ida, spesso di spalle e priva di azione. Dipingeva lentamente e ha prodotto meno di quattrocento quadri: muri senza ornamento; volti senza espressione o, piuttosto, connotati da una espressività pittorica e non umana. Perché Vilhelm Hammershøi dipingeva essenzialmente la pittura, in una condizione tautologica che però noi non percepiamo visto che siamo di fronte a scene e a situazioni e a figure riconoscibili come potenzialmente reali.

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Vilhelm Hammershøi, Riposo, 1905 - Parigi, Musée d’Orsay

  • © RMN-Grand Palais / foto Martine Beck-Coppola / Dist. Foto Scala, Firenze

Usiamo il termine potenzialmente perché, rispetto alla fonte visiva dalla quale il pittore prendeva spunto (il paesaggio, il contesto urbano, l’arredo della dimora), i quadri sono il frutto della selezione di una parte soltanto dei contenuti, privilegiando le linee, le forme geometriche regolari. A noi sembra di essere di fronte alla raffigurazione di una scena domestica o quotidiana ma questa arriva nel quadro dopo essere passata da un setaccio che elimina una gran parte della realtà e ci porge la sensazione di una condizione rarefatta, difficilmente tangibile, connotata come da una umidità pittorica pastosa, da una bruma interna al colore e alla tecnica descrittiva.

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Vilhelm Hammershøi, Interno, Strandgade 30, 1902. Filadelfia, collezione privata

  • © Ann Marie Casey Photography, LLC.

La sua è quindi un’opera dell’interiorità, appartata dal mondo, ritenuta, priva di azione, silente, toccata da una luce al contempo eminentemente tattile e stranamente impalpabile.

Ci colpisce innanzitutto per la normalità estrema, a partire dai soggetti: Vilhelm Hammershøi dipinge paesaggi, interni, spesso domestici e spesso collocati nella personale situazione domestica, ritratti frontali o da tergo; all’interno di questa apparente normalità, quotidianità. Il suo lavoro si distingue per il modo in cui, attraverso la propria scrittura pittorica, egli si esprime. Eliminando tutti i contenuti che non interessano la sua visione poetica, egli ottiene un risultato (apparentemente) semplice, nel quale le linee, che possono essere anche ondulate e che possono definire contenuti evanescenti come le nuvole, hanno l’incarico di costruire la composizione. Questa, così, ci appare per quanto è costruita, traslata dalla realtà pur essendo il risultato di una selezione di elementi della realtà.

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Vilhelm Hammershøi, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma, 1902. Odense,Kunstmuseum Brandts

  • © Kunstmuseum Brandts

Il risultato è una pace e una serenità iconografica che non implica però una serenità emotiva: la rarefazione delle componenti, la precisione con la quale gli elementi si dispongono nella raffigurazione ci conduce in una esperienza che può essere inquietante ma che fatica a diventarlo appieno e noi stessi siamo sospesi in una estasi contemplativa che non ha natura psichica ma, possiamo dire, pragmatica, percettiva, pittorica.

Una ulteriore componente responsabile del risultato compositivo è la pasta pittorica, densa, porosa, carica di luce che emana ma è anche contenuta, compressa e ci propone una fruizione lirica e insieme sospesa. Vilhelm Hammershøi limita la propria paletta per estenderla al proprio interno e variarla a partire dai limiti scelti. Nel ripulire un suo dipinto ci si è accorti che il bianco presente nel quadro è proposto attraverso 40 varianti.

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Vilhelm Hammershøi, La porta bianca (Interno con vecchia stufa), 1888. Copenaghen, SMK -Statens Museum for Kunst

  • © SMK, the National Gallery of Denmark. SMK / foto Jakob Skou-Hansen

È come se la matrice vera fosse interna al pittore e questa matrice fosse applicata alla situazione osservata che ospita, con le proprie componenti selezionate dalla realtà, l’espressione di una visione interiore.
La articolazione interna al colore, la ridondanza delle linee e delle forme, generata dalla selezione dei contenuti iconografici e dalla esclusione dei tanti dettagli che reificano la realtà da noi vissuta, il modo di trattare la pasta pittorica, tutti questi strumenti espressivi definiscono il valore del contributo di questo pittore che agisce nella fase storica, a cavallo dei secoli XIX e XX, durante la quale si prepara il salto verso le avanguardie che cercano di alterare drasticamente i codici linguistici. Nel lavoro di Vilhelm Hammershøi tutto ciò è pronto ed è annunciato in modo silente.

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Vilhelm Hammershøi, Doppio ritratto dell’artista e della moglie visti attraverso uno specchio, 1911

  • Schierensee, Günther Fielmann Foundation

Quando, storicamente, si passerà alla drastica alterazione e cesura e si agirà in modo estremamente riduttivo, un motto roboante sarà: «ciò che vedi è ciò che vedi».
Nel lavoro di Vilhelm Hammershøi si ha la sensazione di toccare la luce fisicamente con le ciglia e contemporaneamente di non capire come e cosa tu stia vedendo.

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  • Keystone
  • Cristiana Coletti

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