C’è chi scatta fotografie e chi costruisce un modo di guardare. Wolfgang Tillmans appartiene alla seconda categoria. Nato a Remscheid nel 1968, cresciuto in una Germania ancora spaccata in due, l’artista è diventato negli anni un punto di riferimento per chi nelle immagini cerca qualcosa di più della realtà: un’idea, un pensiero.
A vent’anni è ad Amburgo e fotografa quello che ha attorno: amici, feste, amori, corpi. Lo fa con uno sguardo libero, vicino, istintivo e senza filtri. È in questo periodo che prende forma il suo linguaggio: diretto ma mai freddo, personale senza essere sdolcinato.
All’inizio degli anni Novanta Tillmans diventa una delle voci visive più riconoscibili della sua generazione. Le sue immagini raccontano la scena techno e queer europea senza estetizzarla. Sesso, euforia, solitudine: sono scatti che oggi sembrano ricordi condivisi, un archivio affettivo di libertà
Col tempo la sua pratica evolve, abbracciando l’astrazione e la sperimentazione. Tillmans comincia a usare fotocopiatrici, carta fotosensibile, luci da camera oscura, realizzando immagini senza macchina fotografica.
Questo approccio libero e sensoriale si riflette anche nel suo rapporto con la musica, che lo ha segnato fin da giovane e che diventa una chiave per capire il suo modo di pensare l’immagine. Una fonte costante profondamente integrata in ogni fase del suo lavoro.
Cieli, corpi, pixel, paesaggi, nature morte, i suoi soggetti sono eterogenei e non seguono un ordine. Le sue installazioni mescolano formati e materiali, alternano immagini intime a test sperimentali. È un caos controllato, che non cerca narrazione ma una coerenza emotiva.
Il suo lavoro incarna perfettamente l’ideale di un’arte accessibile e universale, capace di parlare al presente attraverso immagini attuali, politiche e radicalmente democratiche.
L’esposizione al Centre Pompidou di Parigi, “Rien ne nous y préparait – Tout nous y préparait “ (fino al 22 settembre 2025), esplora i quarant’anni di carriera di Wolfgang Tillmans tra installazioni site‑specific, manifesti, video e scatti iconici. Invitato con una “carte blanche”, l’artista ha occupato i 6.000 m² del secondo piano della Bibliothèque publique d’information (Bpi), reinterpretando liberamente uno spazio normalmente dedicato alla consultazione.
L’allestimento fluisce tra pareti, tavoli, tappeti, scaffali e cabine che rimandano alla memoria della biblioteca, rompendo ogni gerarchia tra formato e soggetto. Non è una mostra cronologica, ma una scenografia dinamica, in cui immagini, testi, suono, performance e contributi multimediali dialogano tra loro e con l’iconica architettura.
Trasformando lo spazio in un’estensione del suo linguaggio visivo, l’artista crea una sorta di diario collettivo in cui l’esperienza personale si intreccia con riflessioni su politica, identità, ecologia e tecnologia. La sua estetica libera e il rifiuto di ogni rigida categorizzazione restituiscono al visitatore una visione intensa e sensibile del nostro tempo.

Mostra: la bibliothèque personnelle de Wolfgang Tillmans
La corrispondenza 21.07.2025, 07:05
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