In occasione della messa in onda su Storie del documentario Gli orizzonti del buio di Mirko Aretini - un viaggio sensoriale e poetico nel cuore della Cappadocia, guidato da Igor e Barbara, ipovedenti - ospitiamo un intervento del regista.
Riflettere sul concetto di punto di vista è ciò che determina la capacità di analisi e messa in discussione dello sguardo stesso. Tutto può essere relativo, tutto può essere il contrario di tutto, a dipendenza della prospettiva che ci viene fornita o che scegliamo di guardare.
Ma cosa significa vedere? Parte da questa domanda, il progetto che poi è diventato Gli orizzonti del buio. Collaborando con persone ipovedenti con scarsa capacità visiva residua, o ciechi del tutto, ho imparato a conoscerli ed esplorare il loro mondo – che è lo stesso che conosciamo anche noi, ma visto con occhi diversi, attraverso i sensi. Ho imparato che si può “vedere” con il tatto e l’udito, l’olfatto, ma anche con la forza di volontà che collega anima e mente.
Ho compreso che non bisogna usare il termine «non vedenti» proprio per i motivi di cui sopra: significherebbe privare concettualmente queste persone di ogni percezione e sensorialità. Ho capito che c’è sempre un mondo nascosto da qualche parte e che ognuno lo vive a modo suo, può imparare a codificarlo e creare gli strumenti adatti per non limitarsi nella vita quotidiano e non privarsi della bellezza.
È stato un vero e proprio viaggio, ben oltre la Turchia. Con loro ho potuto ampliare il mio sguardo su tanti orizzonti che prima ignoravo o davo per scontato e riguardano le cose più semplici per cui troppo spesso ormai non ci emozioniamo nemmeno più : un tramonto, il silenzio, la quiete di rumori ambientali naturali, un ruscello, ascoltare i propri passi su un sentiero... da quanto non ascoltavo i miei passi e non mi soffermavo ad apprezzare le piccole cose che accadono mentre ci passiamo in mezzo e tutto scorre, presi da smartphone sempre in mano e cuffie che isolano totalmente dall’ambiente che ci circonda. Con quanta facilità ormai tendiamo a dire «non mi piace», «è brutto», «mi aspettavo di meglio», «quel colore no» ... potrei andare avanti a lungo, ma sicuramente ho iniziato a non avere fretta, sospendere il giudizio e non sentenziare soltanto perché secondo me è così e ne va del mio gusto che, per carità, è sacrosanto. Ma non è tutto.
Se non ci sono altre possibilità è possibile accontentarsi, trovare una soluzione o un compromesso ed essere felici lo stesso? La risposta non sta a me fornirla, ma ognuno di noi dovrebbe fare di tutto per cercarla e creare una mediazione tra noi, le nostre sfortune e quel che di bello si può avere. Imparando a conoscerli e guardare il mondo con occhi diversi mi sono reso conto che quelli limitati, a volte, siamo proprio noi che abbiamo ogni elemento funzionante e nessun motivo apparente per lamentarsi, dannarsi, piangere, odiare, deprimersi, non sentirsi all’altezza e fuggire. Alcune volte, spiegando il progetto ad amici e conoscenti mi sono sentito rispondere cose del tipo «Ah, ma lavorano?» «Ma perché li vuoi portare fino in Cappadocia per andare in mongolfiera? Tanto non vedono!» e via dicendo...
Ecco, è proprio per questo tipo di pensiero che ho avuto la conferma assoluta di doverlo realizzare. Per sensibilizzare e imparare a guardare il mondo con occhi diversi. Lasciando, per una volta, che siano loro a guidare noi verso orizzonti che non per forza necessitano di essere visti per coglierne la potenza.
Per me un’esperienza di totale connessione umana, corrisposta, arricchente e formativa e spero che anche il pubblico possa avere la stessa curiosità e lasciarsi trasportare. Non è stato tuttavia semplice, per me era la prima volta, e avere a che fare con persone ipovedenti o cieche presuppone un’attenzione costante a ogni gesto e spostamento. Ogni tanto si può osare, ma sempre senza lasciare nulla al caso, partendo proprio dalle cose più semplici. E specialmente quando ci si spinge al di fuori della comfort zone. È una grande responsabilità.
L’esperienza mi ha fatto riflettere anche sull’enorme importanza dei cani guida nelle vite degli ipovedenti (che per il viaggio in Cappadocia se ne sono dovuti privare). Per non parlare di tutti gli operatori sociali, che attraverso le associazioni sono una presenza fondamentale. In virtù di tutto questo ho cercato di rispettare ogni aspetto di questa esperienza nella realizzazione de Gli orizzonti del buio, non da ultimo usando un linguaggio narrativo e audiovisivo che possa coinvolgere e dialogare con tutti quanti.