La nuova edizione del Film Festival dei Diritti Umani, rappresenta ormai un appuntamento consolidato e atteso da un pubblico attento e partecipe. Con una ricca proposta di oltre 25 film — tra cui dodici anteprime svizzere e otto ticinesi — il Festival si conferma come un luogo di ascolto e confronto sulle realtà resistenti e sulle lotte contro gli abusi. Come si legge sul sito ufficiale, si propone come uno spazio vivo dove il linguaggio del cinema diventa strumento per raccontare le battaglie per i diritti umani nel mondo, con uno sguardo sempre critico e necessario sul presente.
Ospiti ad Alphaville, i co-direttori Antonio Prata e Margherita Cascio raccontano il percorso condiviso alla guida del Festival, che si è evoluto nel tempo mantenendo una forte identità collettiva. In un contesto globale segnato da crisi profonde, come quella in Palestina e Gaza, il Festival assume un significato ancora più urgente: il cinema diventa strumento di resistenza, testimonianza e riflessione sui diritti umani, oggi messi gravemente in discussione. Margherita Cascio riflette sul significato del fare cinema oggi: «La realtà è quella che fa il cinema, l’arte, la cultura. Non funziona tanto quando il processo è inverso. È l’urgenza che crea l’opera. C’è una necessità sempre più forte di esprimersi con l’intento di avere un impatto sulla realtà. Il cinema lo permette perché è un’esperienza collettiva: ci permette di stare in una stanza, prenderci il tempo, spegnere il telefono, guardare insieme ad altri. Forse ne abbiamo necessità».

Film Festival Diritti Umani
Passaggi 08.10.2025, 15:05
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Il Festival non è solo uno spazio di visione e riflessione, ma anche una realtà che cresce nel tempo grazie al contributo di chi vi partecipa attivamente «Dopo nove anni da solo, il Festival è cresciuto tantissimo. All’interno del festival hanno collaborato e lavorato persone che sono ancora con noi. Margherita Cascio è sicuramente una di quelle che è rimasta e ha avuto la possibilità di farsi dentro. È fondamentale avere una direzione condivisa, non solo per la quantità di lavoro, ma anche per i contenuti», spiega Prata. «Cerchiamo di fare un lavoro di programmazione che sia sempre molto vicino all’attualità e per questo è molto importante che gli input arrivino da più persone. Il Festival sta crescendo, aumentano le proiezioni scolastiche grazie alla collaborazione con gli istituti del Cantone, e sentiamo sempre più affetto da parte del pubblico. Siamo contenti di dirigere questo Festival».
La direzione del Festival, come racconta Margherita Cascio, parte sempre dai film: «Il Festival si chiama Film Festival dei Diritti Umani proprio perché l’affondo nella realtà parte dalle produzioni cinematografiche più recenti. È un interessantissimo spaccato sulla realtà, e negli ultimi anni abbiamo visto come cambia la necessità di espressione. La selezione cerca di essere una contro-narrazione, un approfondimento, e va a pescare realtà dimenticate, riflessioni che non facciamo tutti i giorni. Il tema deve avere senso per noi oggi, in questo territorio».
La riflessione si amplia al cambiamento nel modo di raccontare la lotta per i diritti umani. Antonio Prata sottolinea come il panorama cinematografico sia continuamente in cambiamento: «Se ne vedono tantissime provenire da tutte le parti del mondo. Ci sono paesi senza industria cinematografica che hanno fatto passi avanti. La distribuzione internazionale è più attenta a queste problematiche. Gli autori contaminano il cinema con altre forme d’arte, e spesso raccontano le proprie realtà. Quando le luci si spengono e la gente guarda il film, si provano talmente tante emozioni che possono sempre evolvere. Sono film che spesso fanno parlare l’autore stesso, che racconta la propria realtà».

A partire da queste trasformazioni, Margherita Cascio porta esempi concreti che testimoniano nuove modalità di produzione e narrazione: «Abbiamo visto aumentare la forma collettiva di fare film. Quest’anno, per esempio, abbiamo Khartum, girato nella capitale del Sudan, nato dalla spinta di un regista inglese ma realizzato da cinque cittadini di Khartum con mezzi di ogni genere. Una creatività e una ricchezza di linguaggio enorme. Un altro esempio è My dear Théo, il primo film di domenica, un epistolario filmato di una madre ucraina dal fronte che prova a spiegare al figlio cosa sta facendo. Alisa Kovalenko è anche un’attivista: è la presenza delle vite nel cinema».

Il Film Festival dei Diritti Umani di Lugano si conferma ancora come uno spazio vivo di riflessione, incontro e visione condivisa. Un luogo dove il cinema non è solo racconto, ma diventa voce, memoria, denuncia e speranza. Un’occasione per fermarsi, ascoltare e guardare il mondo da prospettive nuove, con lo sguardo rivolto a ciò che conta davvero. Tutti i dettagli, il programma e gli eventi collaterali sono disponibili sul sito ufficiale del Festival.
Difendere i diritti oggi
Alphaville 08.10.2025, 11:45
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