Un giallo-teen, che riecheggia l’estetica di Pretty Little Liars ma è tratto da un libro campione di vendite. È Come uccidono le brave ragazze, su Netflix, una serie in sei episodi da poco meno di un’ora con una giovane protagonista nello spettro dell’autismo. Il suo interesse speciale? Risolvere un caso di cronaca nera della sua città.
Ci sono tutti i cliché del genere: una parete riempita di foto, indizi, ritagli di giornale collegati da un pennarello, una piccola Sherlock Holmes (il paragone nella serie è esplicito), una bionda assassinata, un’altra a piede libero. Un suicidio che non sembra un suicidio.
«Andy è scomparsa ma il suo volto è ovunque. Sal non c’è più ed è come se non fosse esistito». La differenza di trattamento (mediatico oltre che giuridico) tra la morte della giovane donna bianca e quella del suo ragazzo di origini indiane, Sal Singh, è una delle molle che spingono la protagonista a indagare sul caso. Ovviamente riceverà gaslighting da parte di un agente di polizia, soddisfatto dell’incriminazione a carico del giovane, che non c’è più e non può difendersi.
La serie è un prodotto pensato per adolescenti, e ha tutti i limiti di aver forse sottovalutato il suo stesso target; soprattutto nella prima parte sembrano tutti molto ingenui, disposti a parlare troppo sapendo di essere registrati o per messaggio, e dove si perde la mimesi della realtà si perde credibilità. C’è perfino la classica scena in cui la nostra Sherlock e il suo improvvisato Watson (il fratello di Sal Singh) si nascondono nell’armadio di una persona nella cui casa si sono agilmente intrufolati. La storia si riprende sul finale.
Tra le cose che funzionano c’è la colonna sonora, mai troppo ingombrante e di certo consapevole dei gusti - reali o indotti, e prima o poi si dovrà fare una riflessione sulla nuova modalità di diffusione di tormentoni tramite TikTok - della GenZ. Un esempio è “Me and the devil” (canzone blues degli anni Trenta), qui nella versione di Gil Scott-Heron mentre quella virale è di Soap&Skin, che accompagna alla perfezione la scena dell’inquietante incontro con il “promising young man” di questa serie, Max. Come sa chi ha visto Promising Young Woman, il validissimo esordio di Emerald Fennell da poco disponibile anche su Netflix, questi uomini promettenti hanno sempre un segreto da nascondere.
Una cosa interessante è il modo per nulla forzato, molto naturale, con cui i grandi temi di sempre, negli ultimi tempi di nuovo presenti nelle piazze di tutto il mondo, sono integrati e affrontati nella trama. Il razzismo, le molestie (in questo caso si tratta di un professore), la violenza sessuale, ma anche la rabbia delle donne, il loro non dover essere per forza “brave ragazze” o eroine, la possibilità di avere antagoniste credibili e non rappresentate in modo sessista.
Il cuore della storia è la scoperta, in stile romanzo di formazione, da parte della protagonista della natura duale dell’essere umano. Parte, come tante persone della sua età, da una visione bianco-o-nero, mostri e brave persone, e arriva a una sintesi convincente di quella che è invece la realtà, partendo da sé stessa. «Non esistono le brave ragazze», dice, e d’altro canto rifiuta anche l’esistenza di “mostri”.
Il modo in cui è trattato quello che è un tema profondo, irrisolto e da sempre indagato (non tanto l’origine del male, quanto il dualismo di cui sopra) è per forza di cose un tantino superficiale e affidato a dialoghi apparentemente casuali. C’è un momento in cui le ispirazioni letterarie - a parte Sherlock Holmes - per la protagonista vengono esplicitate; il professore indovina che le piacciono Melville e Easton Ellis, e capiamo che questa storia è debitrice del secondo rispetto alla critica sulla ferocia dell’alta borghesia, mentre è evidente quale sia la balena bianca di questa Ahab che cerca, e cerca, e cerca delle risposte che non convengono a nessuno, a tratti neanche a lei.
Dostoevskij
Laser 07.10.2021, 09:00
Un altro personaggio poco dopo dirà, in macchina: «Il dualismo è evidente nel Dottor Jekyll e Mr Hyde di Stevenson, ma era già stato sfruttato da Dostoevskij nel Sosia». Gli rispondono: «Ti faccio notare che non so di cosa tu stia parlando»; lui spiega: «Dell’idea che il bene e il male possano coesistere nella stessa persona. Non sono opposti, ma componenti indissolubili della psiche dell’essere umano». Più che di dualismo, Dottor Jekyll e Mr Hyde e anche il Sosia di Dostoevskij affrontano il topos (antichissimo) del doppio, e forse questa apparentemente pretenziosa citazione letteraria anticipa qualcosa che scopriremo più in là: e se il doppio stavolta riguardasse una ragazza, o meglio due ragazze?
Non spoilereremo il finale, che comunque dà un senso alla serie ed è pieno di elementi che funzionano. Se “non esistono le brave ragazze”, la protagonista rifiuterà di farsi aggirare da un personaggio negativo che si definisce “mostro”: a fronte di quell’eccesso forse performativo, forse sincero ma manipolatorio di senso di colpa, lei riporterà il tutto alle sue responsabilità.
Tornando al doppio, la serie pone un altro dilemma: tra sorelle, quanto forte può diventare il risentimento se una è complice del tuo stupratore? Qual è, poi, la linea della complicità? Ci sono alternative a prendere una posizione, e chi non la prende non sta scegliendo di non scegliere, secondo Kierkegaard la scelta peggiore? La complicità vigliacca e il tradimento possono avere, almeno nell’immaginario, delle conseguenze?
C’è poi un doppio finale. Di questo si dirà solo che certe ragazze hanno bisogno prima di realizzare i propri sogni e poi, solo poi, dare quel bacio che volevano dare.
81° Mostra Internazionale di Venezia
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