Cinema

Eddington: l’incubo americano di Ari Aster

Il film con Joaquin Phoenix e Pedro Pascal, stroncato dalla maggior parte della critica a Cannes, è un terrificante e tragicomico bagno di realtà

  • 19 maggio, 11:00
Joaquin Phoenix, Pedro Pascal

Joaquin Phoenix, Pedro Pascal

Di: Chiara Fanetti 

Proprio come nel suo Beau is Afraid (2023), Ari Aster ha scelto di muoversi tra i generi anche in Eddington. È un giallo, è un noir, è un thriller, è un film post-apocalittico: il registro cambia ogni venti minuti, lasciando spaesati e confusi, anche se in realtà Eddington è soprattutto un western nell’era di TikTok, che tenta di raccontare la folle società di oggi, in particolare quella statunitense.

Dal Covid in poi

Sono ancora pochi i film di finzione che hanno ripercorso l’esperienza della pandemia con uno sguardo critico e analitico, andando oltre la ricostruzione o gli aspetti più emotivi. Ari Aster si avventura in questa direzione, riportandoci a un passato recente che sembra, per certi versi, già molto distante. Per il regista il 2020, anno in cui ha ambientato il film, rappresenta un momento chiave per spiegare o riassumere molti aspetti che riguardano la società e la politica contemporanea e il Covid-19, in questa lettura, è solo la punta dell’iceberg.

Sullo sfondo dello scontro tra il sindaco di Eddington (Pedro Pascal) - un uomo di origine messicana che da anni è alla guida della piccola cittadina, in cui vuole insediare un enorme data center per sviluppare l’economia locale - e lo sceriffo (Joaquin Phoenix), personaggio ottuso e goffo che come unico talento ha la mira infallibile di un cecchino, Ari Aster inserisce gran parte dei temi che animano i dibattiti e le crisi che l’America - ma anche l’Europa - sta affrontando. E così, in questa minuscola cittadina nel New Mexico, un diverbio legato all’uso delle mascherine sarà il primo momento di tensione di una lunga serie, che andrà degenerando scena dopo scena.

Teorie del complotto, controllo delle armi, TikToker, white supremacy, violenza della polizia, Black Lives Matter, Bitcoin, razzismo e movimento Antifa: tutto confluisce per le strade polverose del modesto centro abitato, il mondo racchiuso in una piccola comunità, in uno spazio microscopico, esattamente come avviene nei nostri cellulari. Come fare, d’altronde, a restituire la schizofrenia di oggi se non attraverso i ritmi, i formati e le dinamiche tipiche dei social?

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Un feed sul grande schermo

La trama di Eddington è un feed di Instagram trasposto in forma di film, dove i generi narrativi e i toni si susseguono senza un criterio, passando da una scena di guerra ad un balletto, senza alcuna transizione. Uno zapping portato all’estremo dove tutti crediamo di dover esprimere la nostra opinione per definirci di fronte agli altri fino al più piccolo dettaglio, contraddicendoci senza nemmeno accorgercene. Un cortocircuito che il film esplora al meglio con i ragazzini bianchi di Eddington che, in pieno movimento Black Lives Matter dopo l’uccisione di George Floyd per mano della polizia, vengono travolti dal bisogno di esprimere una forma di dissenso ma anche dall’incapacità di farlo senza ostentazione e facili slogan, che trasformano anche un tentativo di manifestazione in una vuota forma di attivismo online.

Incastrati in un privilegio che vorrebbero idealmente rinnegare, rispetto agli afroamericani ma anche ai nativi americani (la terra su cui è stata fondata Eddington confina con un territorio appartenente alle tribù native), questi ragazzi ancora in formazione sono l’emblema di una crisi esistenziale individuale e collettiva, che sfocia spesso in un caotico agire impulsivo, senza ammettere spazi di riflessione o di silenzio.

Anche la diffusione del complottismo e delle fake news trova i suoi personaggi di riferimento nel film, e non per forza tra i più giovani. La suocera dello sceriffo (Deirdre O’Connell) ad esempio è costantemente all’ascolto di podcast che incolpano la Cina della diffusione del Covid, basandosi su strane decodificazioni di cifre e date, mentre sua figlia (Emma Stone) inizia a seguire un predicatore online (Austin Butler) dai racconti biografici discutibili.

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Un altro orrore

Ari Aster ci aveva abituato, con i suoi film precedenti (soprattutto Hereditary, 2018), a guardare l’orrore che si nasconde all’interno dei nuclei famigliari, e anche in Eddington c’è una famiglia disfunzionale al centro della trama; quella dello sceriffo, affiancata da altre situazioni problematiche - alcune tragicomiche - che vengono accennate in brevi scene. In questo film però il regista allarga lo sguardo e ci invita ad osservare come siamo diventati mostruosi a livello collettivo, veloci nel giudicare, nel puntare il dito, nel fare del male. Un’attitudine legittimata anche dai linguaggi della politica odierna.

Nel crescente caos e nelle continue sterzate che animano il film, c’è qualcosa di costante, dall’inizio alla fine: l’ignoranza diffusa e profonda, presente anche nelle persone animate onestamente da buone intenzioni. Gli unici rappresentanti di una forma di coscienza, di pacato senso di bene comune, di logica e di legalità sono i nativi americani, su tutti l’agente Butterfly Jimenez (William Belleau), tra le uniche persone ad essere veramente cosciente di quello che sta capitando in città. Forse un modo, da parte di Ari Aster, per sottintendere che tanti dei problemi degli Stati Uniti - in generale dell’Occidente - derivano ancora dai loro crimini primordiali, mai veramente riconosciuti, affrontati e pagati.

Eddington è un film folle da seguire, proprio come la realtà che vuole raccontare. È spiazzante, in certi punti dispersivo e frustrante, lo detesteranno in molti ma proprio per questo forse è importante andarlo a vedere.

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Festival di Cannes al giro di boa

Telegiornale 18.05.2025, 20:00

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