Cinema

Quando il cinema faceva politica

Negli anni Novanta i britannici Ken Loach e Danny Boyle, con sguardi differenti e intenti simili, hanno raccontato gli effetti delle politiche neoliberiste inaugurate da Margaret Thatcher

  • Ieri, 08:30
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Riff-Raff di Ken Loach, 1991

  • IMAGO / Everett Collection
Di: Romano Giuffrida 

«Ti danno quel tanto che basta per tenerti in vita, ma non abbastanza per farti vivere». Questa frase è tratta dal film Riff-Raff diretto nel 1991 dal regista britannico Ken Loach (1936).

«Scegliete la vita. Scegliete un lavoro. Scegliete una carriera. Scegliete la famiglia. Scegliete un televisore a schermo gigante. Scegliete lavatrici, automobili, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e l’assicurazione dentistica. Scegliete di pagare le rate del mutuo. Scegliete di lavorare sodo. Scegliete di trovare la vita, scegliete di innamorarvi, scegliete una vita confortevole. Scegliete il vostro futuro. Scegliete la vita. Ma perché dovrei volere una cosa così?». Questo interrogativo se lo pone Mark Renton (interpretato da Ewan Gordon McGregor), nel film Trainspotting girato dal regista Danny Boyle (1956) nel 1996.

Perché accostiamo due film così diversi (il primo ambientato nel mondo operaio, il secondo in quello della tossicodipendenza), realizzati poi da due registi altrettanto diversi per età e per stile narrativo? Perché, pur confermando le indiscutibili differenze citate, non sono poche le similitudini che si possono individuare tra i due registi e la loro cinematografia.

Complice di queste affinità è nientemeno che Margaret Thatcher, la Lady di ferro (come venne soprannominata), eletta primo ministro del Regno Unito il 4 maggio 1979. Sia Riff-Raff (come buona parte della filmografia di Ken Loach) che Trainspotting proiettano infatti sullo schermo gli esiti spesso nefasti che ebbero le politiche thatcheriane sulla vita di milioni di persone. Entrambi i registi muovono le loro cineprese nel contesto di quegli anni che rappresentarono una rottura netta con il passato post-bellico basato sullo stato sociale e sull’intervento statale.

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Margaret Thatcher

A partire dagli anni ’80 furono infatti attuate radicali trasformazioni economiche. In primo luogo, ci fu la privatizzazione di un gran numero di industrie statali, inclusi servizi essenziali come telecomunicazioni, gas, elettricità e acqua. Parallelamente furono introdotte politiche di deregulation, che comportarono la riduzione delle tasse per i redditi più alti e la liberalizzazione del mercato. Per favorire tutto ciò, Margaret Thatcher ingaggiò una battaglia frontale con i sindacati, visti come un nemico interno che ostacolava la modernizzazione dell’economia britannica.

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Manifestazione contro la chiusura delle miniere voluta da Margaret Thatcher.

La conseguenza di questa politica fu una deindustrializzazione massiccia che portò a disoccupazione diffusa, all’aumento delle disuguaglianze sociali, alla distruzione delle comunità e al conseguente diffondersi di individualismo esasperato (d’altra parte era stata la stessa Thatcher a dichiarare: «Non esiste una cosa come la società. Ci sono uomini e donne individuali»). Ecco, questa era la “scenografia” sociale, economica e politica nella quale si muovevano i personaggi dei due film citati (ma per Loach se ne potrebbero ricordare tanti altri: Piovono pietre del 1993 e Paul, Mick e gli altri del 2001 in primo luogo).

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Ken Loach

Nel film Riff-Raff, ambientato dopo l’era Thatcher proprio per mostrare gli effetti della deregolamentazione del mercato del lavoro, il protagonista, Steve, dopo un breve periodo in carcere per furto, trova lavoro, sotto falso nome, in un cantiere edile. Le difficili condizioni di lavoro, la carenza di sicurezza e la mancanza di ammortizzatori sociali, lo costringono ad una vita difficile, senza diritti. Da qui un’altra frase che si ascolta nel film: «Devi ridere, altrimenti piangi». Il cinema di Loach (considerato un maestro del realismo sociale) è esplicitamente politico, ma sviluppato con uno stile sobrio e spesso quasi documentaristico. Il suo obiettivo infatti è mostrare la realtà così com’è, senza abbellimenti o stilizzazioni.

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Danny Boyle

Completamente diverso invece l’approccio di Boyle. Trainspotting (letteralmente osservare i treni, metafora della vita passiva) si caratterizza infatti per montaggi veloci che rompono le convenzioni narrative con un metodo ispirato dai videoclip musicali, dal surrealismo e dall’estetica pop, per colori saturi e per una colonna sonora potente. Il film, tratto dal romanzo omonimo del 1993 di Irvine Welsh (1958), narra delle vicende di Mark Renton e dei suoi tentativi di disintossicarsi dall’eroina e sfuggire all’influenza distruttiva dei suoi amici e delle loro vite segnate anch’esse dalla dipendenza dalla droga. La storia è ambientata a Edimburgo, un’area colpita dal declino delle industrie tradizionali e dalle politiche thatcheriane che smantellarono il welfare state. Tutto ciò aveva creato una generazione di giovani disoccupati, senza prospettive, che si sentivano abbandonati e senza un posto nella “nuova” società. 

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Una scena di Trainspotting

I personaggi di Trainspotting, infatti, sono chiaramente ai margini della società: non solo sono tossicodipendenti, ma sono anche disoccupati, spesso coinvolti in piccoli crimini, e vivono in condizioni precarie. Il loro modo di vivere è un rifiuto esplicito delle norme borghesi tanto che anche la droga diventa una scelta radicale contro il modello di società imposto. Trainspotting, divenuto rapidamente un cult movie, simbolo degli anni ‘90 (tanto da essere stato votato nel 2024 come il più «grande film britannico» in un sondaggio del British Council), però non è solo una storia di tossicodipendenza, ma un’analisi cruda delle conseguenze del declino industriale, della marginalizzazione sociale e della natura coercitiva del conformismo in una società di capitalismo avanzato.

In conclusione, i due registi osservarono la stessa società, con la differenza che Loach lo fece con un occhio “militante” e una cinepresa usata in modo tradizionale su protagonisti, parafrasando una frase tratta da un altro suo film (Io, Daniel Blake del 2019, cittadini «niente di più, niente di meno», mentre Boyle sceglie giovani marginali e lo fa con l’occhio di un artista visivo e con spirito provocatorio nell’uso delle immagini e del suono. Ma è solo una questione di stile: non è difficile capire che entrambi i film furono dichiarazioni politiche... esplicite.

49:59

Trainspotting

Rete Tre 20.12.2021, 20:00

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