Cinema

Elemental

Un po’ archetipi, un po’ stereotipi: com’è il nuovo film Disney Pixar

  • 28.06.2023, 10:00
  • 14.09.2023, 09:02
elemental
Di: Valentina Mira 

Era dai tempi de Gli incredibili 2 che la Disney Pixar non introduceva un suo film con un cortometraggio. In quel caso il corto era Bao, di Domee Shi, la sino-canadese Millennial (è nata nel 1989) che ha esordito con quello - scritto e diretto - e poi ha fatto il suo exploit con Turning Red, apportando una freschezza di vedute al marchio di cui si sentiva il bisogno. Bao (2018) era un corto profondo, commovente, divertente benché psicanalitico: indagava in una metafora delicata il rapporto con un materno ingombrante, stesso argomento che in effetti tratta per esteso in Turning Red.

Il corto questa volta è Carl’s date, “L’appuntamento di Carl”. Il livello artistico non sarà quello di Domee Shi, ma è comunque in grado di commuovere, visto l’argomento; Carl è il vecchietto protagonista di Up, che in questo corto dopo tanti anni di solitudine decide di riaprirsi ai sentimenti. Il contrasto (solo apparente) tra la sua età e la goffaggine dovuta al fatto che non è sicuro che sia giusto, che ha paura, e che in generale si è disabituato agli appuntamenti, è raccontato in un modo universale, tenero, buffo. La scelta di aver fatto precedere Elemental dal ritorno sugli schermi di Carl serve forse a creare un gancio emotivo con la storia, lasciando che a introdurre i nuovi personaggi siano quelli vecchi, già amati dal pubblico. Ma com’è il nuovo film?

Elemental parla di migrazione. Siamo alla quarta ondata, e ora - dei quattro elementi - tocca al fuoco. I loro nomi all’anagrafe del nuovo paese vengono riportati male, non trovano altri elementi che vogliano affittare loro una casa. Si sentono dire: «Bruciate a casa vostra!». Un déja-vu. Conosciamo queste cose. La protagonista, figlia della coppia di fuocherelli migranti con cui si apre il film, a un certo punto si sentirà dire paternalisticamente: «Brava, ti esprimi in modo chiaro e corretto». Ma lei è nata e cresciuta qui, è scontato che lo faccia. Viene messo a fuoco - letteralmente - uno dei pregiudizi che più spesso si trova a vivere chi è di seconda generazione.

Ma il cartone non parla solo di questo.

Un altro argomento è la rabbia, visto che Ember, la protagonista, non è bravissima a gestirla, anche in linea con l’elemento che le è stato assegnato: il fuoco, per l’appunto. Il film dà una serie di istruzioni utili a ogni bambino (ma in realtà a chiunque, a qualunque età) per gestire questa emozione problematica: «Fai un respiro e crea un contatto», le consiglia il papà. In quei casi in cui Ember vede che ciò non è sufficiente, decide di andarsene prima di fare dei danni. E anche questo è un consiglio tipico degli psicologi per aiutarsi nella gestione della rabbia: allontanarsi.

«Il mio temperamento sono io che voglio dirmi qualcosa che non voglio sentire», dice Wade, l’acquatico di cui pian piano Ember s’innamora. È una frase che fa riflettere su tutte le volte che proiettiamo qualcosa di nostro con cui non vogliamo fare i conti su qualcuno, e ce la prendiamo con lui.

Se abbiamo a grandi linee capito chi sia Ember, chi è invece Wade? È fatto d’acqua, e piange. Il pianto maschile - eviteremo spoiler - sarà addirittura risolutivo, vero la fine del film. Un’operazione contro gli stereotipi che però non riesce al cento percento. Se infatti da una parte sdogana il pianto degli uomini, dall’altra va detto che non tutte le lacrime sono uguali. Wade fa la sua apparizione proprio piangendo, ma mentre piange non dismette i suoi panni di ispettore, e scrive tra lacrime abbastanza false (o che comunque cozzano con le sue azioni) una trentina di infrazioni che addebita al padre di Ember su un negozio che ha costruito con le sue mani, ma che a quanto pare non è a norma. Il resto del film è fatto anche di lui che cerca di riparare al danno, ma per quanto riguarda le lacrime: le sue in quella scena sono un esempio emblematico di vittimismo. L’empatia, il contatto con le emozioni più intime anche altrui e non solo proprie, queste sono cose che, soprattutto nella scena dell’incontro, mancano totalmente. È femminista Wade? Forse è più corretto dire che è un tentativo della Disney di venire incontro a quelle che qualcuno chiama “nuove sensibilità”, e che in realtà per un marchio del genere sono mercato, senza però riuscirci del tutto.

Wade è maschio (primo divario di potere tra i due), è d’acqua (può spegnere il fuoco di lei), non è immigrato (terzo divario di potere), ed è anche ricco (quarto, finale). Il primo incontro tra i due, come abbiamo detto, prevede una multa che mette in pericolo la serenità familiare e la vita di Ember. Forse bisognerebbe pur insegnare alle ragazzine a riconoscere le red flag, i segnali di una relazione che non promette affatto bene.

Il cartone si ripropone di parlare d’amore, e lo fa usando i più vecchi topos narrativi: gli opposti che si attraggono (che reagiscono, come recita un claim del film), il non potersi neanche toccare. Un lui che è potenzialmente fatale a lei, come nel peggior young adult in circolazione. «Potresti evaporare e tu potresti estinguermi», le dice Ember quando lui insiste per toccarla. «Un passo alla volta», le risponde Wade. Ed è così che ci riescono. Senza che nessuno dei due faccia del male all’altro. La scena è anche commovente, perché in questo caso è la riproposizione del dilemma del porcospino di Schopenhauer, solo in chiave ottimistica: qual è la distanza giusta per non ferirsi? Ember e Wade ci suggeriscono: anche molto poca, purché si faccia tutto con calma. Un passo alla volta.

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Elemental è un film in cui c’è tanta, troppa acqua. Acqua che straripa, che fa paura e rischia di spegnere la tua fiamma. Acqua che sommerge, che distrugge. Acqua a cui i nostri due vogliono porre un freno. Il problema del mondo che ci viene proposto a ben vedere non è la convivenza tra elementi, ma la prevalenza di alcuni su altri. Come nel nostro mondo il problema non è la convivenza tra “diversi”, ma la prevalenza, quando non l’oppressione, di alcuni su altri.

Benché a tratti nel cartone gli archetipi si mischino agli stereotipi, se ne può riconoscere la buona fede, oltre che la funzionalità alla trama.

Qualche chicca della versione italiana: la canzone Per sempre ci sarò di Mr. Rain, che fa il paio col coinvolgimento del cantante Mahmood ne La Sirenetta. Ma anche il doppiaggio di Wade fatto da Stefano De Martino (ballerino noto per la sua relazione con Belen Rodriguez, con cui tradì praticamente in diretta la cantante Emma Marrone, e che da quel momento ha fatto una notevole carriera diventando anche conduttore), e quello di Ember, a cui presta la voce Valentina Romani, attrice di Mare fuori. C’è inoltre un piccolo cameo del campione di MotoGP Francesco Bagnaia, nei panni della nuvola Pecco. Potremmo ragionare di come questa tendenza a preferire personaggi pubblici a doppiatori di professione impatti su questo mestiere, o su quanto alla lunga risulti stucchevole l’inserimento di meme nei cartoni Disney, che sperano di usare i social come cassa di risonanza, di fatto, manipolandoli (nel corto Carl’s date il vecchietto si spruzza un profumo che si chiama “BRO”, una strizzata d’occhio a un’espressione da giovani). Ma per oggi ci accontentiamo di un buon prodotto cinematografico, in grado di far passare un paio d’ore di evasione a chi - come tanti di noi - ne ha bisogno.

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