Cinema

Godzilla e la paura della bomba

Settant’anni fa Ishiro Honda portava al cinema la prima apparizione del sauro radioattivo, potente metafora dell’ansia atomica giapponese. Non a caso, estremamente attuale ancora oggi

  • 2 aprile, 11:01
  • 2 aprile, 15:08
606128695_highres.jpg

Godzilla x Kong: The New Empire

  • Keystone (Warner Bros Picture)
Di: Michele Serra

Per Christiansen, un ricercatore del museo di storia naturale di Copenaghen, nel 1999 ha provato a calcolare quanto è grosso e quanto pesa Godzilla. Il risultato? Variabile: da un minimo di 90 metri di lunghezza (coda compresa) e 3.000 tonnellate di peso, a un massimo di 185 metri e 23.000 tonnellate, più o meno. Variabile perché – è il caso di ricordarlo – nella storia di questo meraviglioso mostro è mancata la consulenza di ingegneri e biologi capaci di rendere più plausibile il lucertolone dal punto di vista biomeccanico, e più stabili le sue proporzioni su schermo.
Al di là del tonnellaggio, comunque, il semplice fatto che uno zoologo danese abbia deciso, all’alba del ventunesimo secolo, di impiegare (perdere?) il suo tempo nello studio di un animale fantastico nato in Giappone quasi cinquant’anni prima, bè, è una prova granitica della fama globale e dell’importanza storica di Godzilla. Ancora innegabile nel 2024: a pochi giorni dall’uscita, Godzilla e Kong: Il nuovo impero vanta numeri titanici ai botteghini di tutto il mondo (numeri che non comprendono ancora l’uscita giapponese, prevista per la fine di aprile). Fatto quasi incredibile, se consideriamo il fatto che dalla prima apparizione di Godzilla nei cinema sono passati ormai settant’anni esatti.

La storia del primo Godzilla

Era infatti il 1954 quando il leggendario Ishiro Honda mandava in distribuzione il film che avrebbe potuto distruggere la sua carriera di regista, appena decollata. Honda aveva debuttato dietro la macchina da presa a quarant’anni, dopo aver passato mezza vita a combattere con l’esercito giapponese (non c’è bisogno di ricordare con quale risultato) e, ironia della sorte, aveva raggiunto il successo proprio con un film di guerra, Operazione kamikaze. Ma la nuova pellicola che gli era stata proposta era a dir poco un azzardo: la Toho voleva portare in Giappone la moda americana dei film di mostri e fantascientifici, e voleva farlo con un film anomalo, il primo del suo genere. Il budget di circa 60 milioni di yen era tre volte superiore alla media dei film giapponesi, e i costi di stampa e pubblicità lo fecero lievitare fino a circa 100 milioni. La cifra appare ridicola rispetto a qualsiasi produzione hollywoodiana del 2024, visto che si tratta dell’equivalente di tre milioni e mezzo di dollari odierni, ma per il mercato giapponese del dopoguerra era un investimento – scusate – mostruoso. Se Godzilla avesse fallito, sarebbe stata la fine anche per Ishiro Honda.
Le leggende dicono che, per assicurarsi che tutti lavorassero con la giusta convinzione, il primo giorno di lavorazione di Godzilla il regista riunì le maestranze e lesse ad alta voce le prime righe del soggetto: «Inspiegabili disastri navali affliggono le acque costiere del Giappone. Durante un tifone, un villaggio di pescatori sull’isola di Odo viene raso al suolo da una forza misteriosa e invisibile. Ben presto il colpevole viene rivelato: una creatura preistorica, rianimata e mutata dai test atomici». Honda voleva accertarsi che quella storia fosse trattata da tutti con estrema serietà.
Non aveva torto, visto che il primo Godzilla avrebbe scavato a fondo nelle paranoie del pubblico giapponese: l’ansia per la bomba persisteva anche dopo l’apocalisse di Hiroshima e Nagasaki, a causa dei test atomici condotti nel dopoguerra dagli statunitensi (nel Pacifico meridionale) e dai sovietici (in Asia centrale). Proprio nel 1954, una tragedia – per quanto piccola, se paragonata alle precedenti – aveva confermato la fondatezza di quelle ansie, conquistando le prime pagine dei giornali. Il primo marzo, infatti, un peschereccio si era trovato a navigare troppo vicino a un test americano nelle Isole Marshall (un tempo territorio giapponese) ed era stato colpito dal fallout radioattivo. Uno dei marinai era morto, e la storia aveva conquistato le prime pagine dei giornali, scatenando timori anche per la possibilità che pesci radioattivi finissero sulle tavole dei giapponesi. Da quell’incidente prese slancio il movimento antinucleare, protagonista della vita politica giapponese per i settant’anni successivi. Il soggetto di Godzilla legava quelle ansie a una trama presa di peso da un film europeo: Il risveglio del dinosauro di Eugène Lourié, che la Warner Bros aveva acquistato pochi mesi prima e distribuito con grande successo negli Stati Uniti. Insomma, oltreoceano i mostri sbancavano i botteghini, in Giappone le paure nucleari erano al centro del discorso pubblico: ecco perché Godzilla era il film giusto al momento giusto. Una proposta intelligente, tempestiva e pertinente, realizzata con il massimo della cura possibile da Honda e dai suoi collaboratori, primo tra tutti il mago degli effetti speciali Eiji Tsuburaya. Soprattutto, Godzilla era un prodotto serio come il regista desiderava, capace non solo di offrire al pubblico una metafora comprensibile dell’angoscia atomica, ma anche di rafforzare la percezione del Giappone come vittima della guerra, e allo stesso tempo evocare la speranza di rialzarsi grazie allo sviluppo tecnico: nel film, in effetti, il sauro radioattivo è risvegliato da un’arma, e poi sconfitto da un’altra arma. Si tratta di un’idea in linea con la corsa agli armamenti cominciata proprio negli anni Cinquanta, dalla quale il Giappone si era chiamato fuori, sostenendo una linea pacifista che sarebbe durata sino ai giorni nostri (è solo dell’anno scorso la riforma che porterà il paese verso il riarmo): quindi, in un certo senso, una fantasia proibita. Ben completata dalle immagini dell’esercito giapponese in azione nel tentativo di contrastare il mostro, tipiche di ogni film della serie.  

La serietà del primo Godzilla lo rendeva un film adulto, nonostante la presenza di un mostro che poteva ricordare quelli del cinema americano dedicato ai ragazzini. Solo in seguito, con la produzione di grappoli di seguiti, la Toho – insieme a Honda, che ne diresse molti – decise di trasformare Godzilla in un personaggio primariamente dedicato al pubblico giovane, mostrandolo più amichevole, umano, e correggendo perfino gli aspetti più spaventosi del costume. Ma neanche questa evoluzione ha del tutto cancellato la metafora di fondo che ha reso Godzilla un pezzo fondamentale della cultura del Novecento: il pubblico – quello giapponese per primo – ha proiettato la paura collettiva dell’atomica sul mostro mutante, per poi riuscire a sconfiggere entrambi. Già nel 1965 Susan Sontag scriveva su Commentary: «Si ha la sensazione, soprattutto nei film giapponesi, ma non solo, che esista un trauma di massa legato all’uso delle armi nucleari e un’ansia per la possibilità di future guerre nucleari. La maggior parte dei film di fantascienza testimonia questo trauma e, in un certo senso, tenta di esorcizzarlo. Il risveglio accidentale del mostro superdistruttivo che dorme nella terra fin dalla preistoria è, spesso, un’ovvia metafora della bomba».
Oggi ansie simili, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, stanno risalendo in superficie nel mondo occidentale, come un fiume carsico. Speriamo solo che basti un nuovo Godzilla, per esorcizzarle.

Settant'anni di Godzilla

Telegiornale 28.03.2024, 20:00

Ti potrebbe interessare