La linea della palma è in onda su RSI LA1 a partire dalle 20:40 del primo dicembre, e disponibile integralmente su Play RSI a partire dalle 23:00.
Online anche il podcast Il furto del Caravaggio, che racconta la vera storia delle indagini intorno al capolavoro rubato.
Un inseguimento notturno, lungo le strade di Lugano: un’auto scura affianca una motocicletta lanciata a tutta velocità, la sperona. Un ragazzo rimane sull’asfalto.
È solo uno dei momenti-chiave delle prime puntate di La linea della palma, disponibile dal primo dicembre su Play RSI e in onda per tre lunedì e sei puntate su RSI LA1: serie crime ambientata quasi interamente nel Luganese, tranne che per il suo antefatto, che invece prende le mosse da un fatto realmente accaduto, nel profondo sud italiano. Nel 1969 infatti, nell’oratorio di San Lorenzo a Palermo è stato rubato un capolavoro di Caravaggio, la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi. L’opera d’arte, nella realtà, non è mai stata ritrovata, ma La linea della palma immagina che una giovane giornalista, Anna (Gaia Messerklinger), scopra una pista che porta in Svizzera, e che coinvolge suo padre, scomparso da tempo.
È un thriller vero, quello messo insieme dal regista ticinese Fulvio Bernasconi (Miséricorde, Quartier des Banques, Il vicino tranquillo), che ha raccontato a Indovina chi viene al cinema su Rete Due origini e retroscena della sua ultima produzione.
Le uscite della settimana e l’ospite speciale
Indovina chi viene al cinema 29.11.2025, 12:45
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Alessandro Bertoglio: Mafia, dipinti preziosi, intrighi finanziari, Lugano, banche, fiduciarie… Sembrerebbe tutta una serie di luoghi comuni collegati ad arte, ma in realtà è proprio la cronaca dei nostri tempi. Una volta era la piovra, adesso è la palma, ma poco cambia.
Fulvio Bernasconi: Bisogna pur dire che lo sviluppo economico enorme del Ticino, avvenuto negli anni 60, è in parte di origine grigia, come diceva sempre Dick Marty. Questo dobbiamo dirlo. Cioè non che tutte le attività finanziarie o bancarie fossero illegali o nefaste, però di sicuro c’è stata – e forse c’è ancora – una parte sotterranea, al limite della legalità e a volte anche oltre. E questo aspetto, questa realtà storico-sociale, è dipinta nella serie.
I temi legati ai reati finanziari sono quelli su cui hai lavorato più spesso: ad esempio, mi piace ricordare Quartier des Banques, dodici puntate in due stagioni. Come mai questa attrazione?
Io non ho un’attrazione per la finanza. Ho piuttosto un’attrazione per – diciamo – lo stato di diritto e la democrazia, per cui la finanza mi interessa come antagonista… Più seriamente, è chiaro che queste cose permeano la società svizzera, è una parte importante della nostra economia, della nostra vita sociale. Per cui, che si raccontino delle storie su questi argomenti mi sembra normale. Io personalmente ho una visione molto politica della vita e di quello che faccio, quindi sono attirato naturalmente da queste cose.
Come si approccia il lavoro ad una serie TV? Sono quasi 300 minuti, bisogna girare di corsa: voi ci avete messo circa 66 giorni: sembrano tanti, ma in realtà, per fare sei puntate, sono una ogni undici giorni…
Dunque, io ho partecipato un po’ allo sviluppo delle sceneggiature, certo, però onestamente il mio lavoro da regista puro è cominciato a settembre dell’anno scorso, con la preparazione. Lì bisogna fare molte cose: la prima, banale, è analizzare la sceneggiatura, vedere come si vuole tradurre in immagini e suoni quello che c’è scritto su carta. E la preparazione è fondamentale. Qui c’è stata una grande preparazione, devo dire, da parte di tutti. Naturalmente, è un po’ banale dirlo, ma: se preparati meglio, si può fare anche più velocemente. 66 giorni, che è una durata piuttosto generosa per una serie in Svizzera. Certo, i ritmi sono restano frenetici, però credo che abbiamo avuto il tempo di fare le cose per bene. Spero.
Avete girato a Lugano, che è anche la tua città di origine. C’è qualcosa che ti ha colpito, nel rivedere alcuni luoghi? Magari ti ha stimolato qualche ricordo?
Chiaro che girare a Lugano, la città dove sono cresciuto, significa confrontarsi con un legame affettivo molto forte. Sinceramente, mi stava a cuore anche un po’ difendere la città, la sua bellezza, il suo mistero. La sfida era non semplicemente mostrarla bella, mostrarla intrigante, affascinante, ma anche renderla credibile come teatro di un thriller. Non che abbia scoperto niente che non sapessi già, però mi ha fatto piacere usare i luoghi della mia infanzia riutilizzandoli, travisandoli un po’… abbiamo usato alcuni dei luoghi in cui io sono stato bambino.
Gaia Messerklinger è Anna, la protagonista. Lei è un’attrice che ha fatto molta più tv rispetto al cinema: conta, questa specializzazione? O meglio, conta ancora?
Ho sempre trovata la differenza cinema/televisione un po’ artificiale. Cioè, certo, ci sono dei codici specifici, ma sempre meno. E per un attore, quello che conta, cioè la sua performance, è essenzialmente incarnare, rendere credibile, verosimile un personaggio. Che sia fatto per il cinema o per la televisione, a me sembra essenzialmente la stessa cosa. Certo, forse al cinema hai un po’ più di tempo per farlo… Oggi ci sono delle specializzazioni di fatto negli usi e costumi dei grandi paesi, tipo la Francia o l’Italia: spesso un attore di televisione fa televisione. Ma secondo me sono idee un po’ artificiali.
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Neo, la linea della Palma la serie che parla di noi
Il Quotidiano 29.11.2025, 19:00








