Cinema

Ripartire da Dorothy Arzner

Hollywood e le donne

  • 10 febbraio, 08:28
Dorothy Azner
Di: Nicola Lucchi

Esisteva un luogo, tanto tempo fa, dove le donne esercitavano un potere enorme, gestivano grandi quantità di denaro e fabbricavano sogni. Quel luogo si chiamava Hollywood.

Può suonare come una provocazione, se non fosse che le ultime statistiche legate alle donne impegnate nel cinema tracciano uno spaccato desolante dell’industria. Secondo uno studio condotto dall’USC Annenberg School for Communication and Journalism, per ogni donna assunta come regista tra il 2007 e il 2017 venivano ingaggiati 22 uomini. Dei 100 film più importanti del 2017, solo l’8% è stato diretto da donne e solo il 10% le vedeva come sceneggiatrici. Con il 16% di registe sui suoi 100 film più popolari, non sorprende che il 2020 sia stato visto come l’anno del “trionfo” della parità di genere. Peccato solo non aver retto il 2021, pronto a mettere il bastone tra le ruote con uno scarno 12%. Malgrado il successo di Barbie e le continue lotte per un cinema al femminile, il 2023 non ha dato segni di miglioramento. Secondo un recente studio condotto dal Center for the Study of Women in Television and Film dell’Università di San Diego risulta infatti che, dei 250 film più importanti dell’anno, solo il 16% è stato diretto da donne. L’anno prima, paradossalmente, la percentuale era del 18%. Buoni propositi e segnali incoraggianti pare giungano ora per il 2024 che, fino a prova contraria, è però solo all’inizio.

Eppure, per tornare alla provocazione di partenza, c’è stato un tempo in cui una regista non era vista come una specie rara quanto un Rinoceronte di Giava. Gli anni di cui stiamo parlando sono quelli dell’età del muto, in particolare il ventennio che dai primi anni Dieci conduce alla fine dei Venti. Un periodo in cui le donne erano invitate a calpestare i più grandi set cinematografici ricoprendo i ruoli più disparati. Numeri non da poco se si pensa che, sebbene le mansioni più gettonate furono legate alla scrittura e al montaggio, solo la Universal, tra il 1912 e il 1919, contava 11 registe con oltre 170 film all’attivo.

Tra le donne che fecero la storia del cinema c’è Aliche Guy Blaché (1873 – 1968), prima regista nonché prima persona in assoluto ad aver realizzato un film narrativo (La Fée aux Choux,1896) e che, nel 1907, raggiunse gli Stati Uniti per aprire la propria casa di produzione. Non da meno fu Mabel Normand (1893-1930), la Charlotte del cinema, soprannominata in questo modo proprio perché, oltre ad essere un’importante regista, sceneggiatrice e attrice, ebbe un ruolo chiave nell’avvio della carriera di Charlie Chaplin. Che dire di Julia Crawford Ivers (1869-1930), pioniere dell’industria californiana quando Los Angeles, sua città natale, si trasformò nella Mecca del cinema; o di Cleo Madison (1883-1964), coraggiosa cineasta capace di marciare controcorrente, proponendo nei suoi film, già nei primi anni Dieci, problematiche legate all’oppressione e alla discriminazione sessuale.

La lista potrebbe andare avanti a lungo, almeno per buona parte degli anni Venti, fino a quando qualcosa si ruppe. Cosa accadde una volta che i film presero voce è tutto da riscoprire, noto è invece che nel 1920 l’attivista per i diritti delle donne Catherine Filene pubblicasse un libro molto popolare dal titolo Careers for Women, suggerendo una lunga lista di lavori femminili tra i quali, naturalmente, la regista. Peccato solo che, quando il testo fu ristampato nel 1933, quella voce era già scomparsa.

In questa ecatombe che vide estirpare la figura femminile da dietro la macchina da presa solo una donna riuscì a salvarsi. Il suo nome era Dorothy Arzner.

Fatta esclusione di due pellicole di Wanda Tuchock, entrambe datate 1934, Dorothy Arzner fu l’unica donna a calpestare i set degli studios hollywoodiani per più di un decennio, dalla fine degli anni Venti fino al 1943, quando col suo First Comes Courage diede addio al cinema. Un titolo, quello della sua ultima pellicola, che ha del provvidenziale, se solo si pensa alla vita e alla carriera di questa maestra del cinema.

Nata a San Francisco nel 1897, Dorothy ebbe i suoi primi contatti col mondo della celluloide dopo il trasferimento a Los Angeles, dove il padre prese a gestire un ristorante frequentato da star del calibro di Mary Pickford e Douglas Fairbanks. Ci vollero però due anni di medicina e una guerra mondiale prima che Dorothy comprendesse che la sua strada era quella del cinema. L’incontro con lo sceneggiatore e regista William DeMille segnò la svolta decisiva. Iniziando come scenarista, Dorothy passò presto al montaggio e, dopo decine di film per la Paramount, approdò alla regia girando alcune scene di Sangue e arena (1922), grazie al quale colse le attenzioni del regista James Cruze. Un’ascesa immediata che la portò a dirigere numerose pellicole di successo spesso incentrate su amori illeciti o non convenzionali, come del resto fu la sua relazione con la coreografa Marion Morgan, con cui visse per oltre quarant’anni. Una carriera per lo più vissuta in solitaria in un mondo di uomini che sempre più spesso assumevano altri uomini, relegando la sensibilità femminile a ruoli di secondo piano.

Abbandonata Hollywood, Dorothy Arzner passò il resto della sua vita tra produzioni teatrali e spot pubblicitari per grandi marchi, fino a spendere il proprio prepensionamento all’interno della UCLA dove, tra i tanti, insegnò cinema a Francis Ford Coppola. È invece merito di Jodie Foster se, grazie alle sue raccolte fondi, le pellicole e i materiali legati a Dorothy Arzner sono scampati a un’altra grande ecatombe, quella che vide la distruzione, volontaria e non, di circa il 75% delle pellicole prodotte durante l’età del muto. Un periodo d’oro dal quale, pare, ci sia ancora da imparare.

Mattia Pelli e Paola Gilardi commentano l'articolo del Tagi su cinema svizzero e donne (Rete Due 18..3.16)

RSI Cultura 18.03.2016, 12:59

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