Quando si sprofonda nelle poltrone di un cinema per immergersi nella storia che scorre davanti ai nostri occhi, non ci si domanda cosa accade oltre i confini dello schermo. Eppure, quel film, qualcuno lo ha pensato, scritto, diretto e prodotto. Enormi capitali investiti in un singolo tassello che, insieme a tanti altri, dà forma al catalogo dell’industria dell’intrattenimento. Ciò che si vede in superficie è solo la punta di un iceberg costituito da centinaia di figure professionali che lavorano spesso nell’ombra, per uscire qua e là in un titolo di coda, una premiere o in qualche festival. Esistono però persone che, senza mai mostrarsi, lavorano perché la fabbrica dei sogni non crolli su se stessa, per fare in modo che i miti osannati sullo schermo non si rivelino per quello che sono realmente o affinché il pubblico possa continuare a illudersi che Hollywood sia un luogo dorato al quale ambire, o grazie al quale illudersi di una vita perfetta. Queste creature misteriose sono coloro che ripuliscono dal lerciume un mondo che, fin dalla nascita, ha ben poco di pulito, ma che pulito ha sempre dovuto apparire.
“Sono il Signor Wolf. Risolvo problemi.” Una delle citazioni più popolari di Pulp Fiction suona come la definizione perfetta per descrivere i fixer hollywoodiani, ossia quei professionisti che, spesso in modo illegale, risolvono questioni delicate per conto delle case di produzioni o delle star. Insabbiare scandali è il loro pane quotidiano, pagare tangenti un’abitudine, cancellare prove una necessità e trattare con la stampa per evitare pubblicità negativa solo la più scontata delle attività. Una professione che è stata brillantemente portata sullo schermo per sette stagioni da Liev Schreiber in Ray Donovan, ma che nella realtà accompagna da sempre i personaggi pubblici più illustri.

Ray Donovan
Quando Hollywood era un vero e proprio impero e gli scandali non dovevano uscire dalle mura del castello, la figura del fixer giocava un ruolo fondamentale. Non è un caso che i più grandi risolutori di problemi abbiano affiancato la storia del cinema proprio durante l’età d’oro di Hollywood. Eddie Mannix, coadiuvato da Howard Strickling nonché citato in Hail, Caesar! (2016) dei fratelli Coen, fu uno dei fixer più temuti dell’industria americana. Conosciuto come “il bulldog” di Louis B. Mayer, lavorò per la MGM insabbiando scandali e gestendo crisi, nascondendo aborti o incidenti stradali, ma soprattutto permise che l’intrattenimento per famiglie di Mayer restasse tale. Gli interventi di Mannix non si contano e chissà quanti non verranno mai alla luce, certo è che seppe nascondere alla stampa le numerose relazioni omosessuali dell’attore William Haines, così come le guide in stato di ebrezza di Clark Gable. Tra i lavori più leggendari di Mannix c’è però l’eliminazione del presunto film pornografico in cui Joan Crawford avrebbe recitato quando, ancora giovanissima, si faceva chiamare col proprio nome di battesimo, o la gestione del caso di stupro ai danni dell’attrice Patricia Douglas, che oltre alla violenza subita durante un party della MGM dovette affrontare una vera e propria campagna diffamatoria attuata dalla casa di produzione, che ne infangò nome e carriera.

Eddie Mannix
Per la rivale 20th Century Fox lavorava invece Harry Brand, che sporcandosi le mani meno del collega curò l’immagine pubblica di star quali Shirley Temple e Marilyn Monroe, controllando sistematicamente le narrazioni mediatiche sulle star. Proprio grazie ai suoi contatti con la stampa lavorò per celare segreti, scandali e indiscrezioni sugli attori, ma anche per costruire su misura dei profili che potessero far parlare positivamente dei suoi assistiti. Cucì addosso all’attore Tyrone Power relazioni fittizie da dare in pasto ai giornalisti, contribuì a rendere Betty Grable una tra le dive più amate degli anni ’40 assicurando le sue gambe per un milione di dollari e affiancò Marilyn Monroe fabbricandone il profilo, spesso minacciato dalle problematiche della diva.
Anni più tardi, l’ex poliziotto Fred Otash lavorò invece come cane sciolto sul fronte delle intercettazioni e degli insabbiamenti. Pare collaborò con la moglie di Rock Hudson per ottenere prove sull’omosessualità del marito al fine di ottenere un divorzio vantaggioso, ma la sua missione più discussa e controversa è legata al suicidio di Marilyn Monroe. Otash mantenne il silenzio su quel giorno per decenni, ma nel 1985 dichiarò al Los Angeles Times che l’attore Peter Lawford, membro acquisito della famiglia Kennedy, lo aveva assunto proprio quella notte per eliminare qualsiasi prova potesse legare John e Robert Kennedy alla diva appena deceduta.

Anthony Pellicano al processo
L’età d’oro di Hollywood segnò il trionfo delle grandi divinità dello schermo e fu caratterizzata dall’enorme influenza delle major, che dettando le regole del gioco dovevano allo stesso tempo mantenere illibata l’immagine ben costruita che erano riuscite a creare negli anni. Un’immagine, così come un’influenza, che andarono col tempo indebolendosi, ma che mai poterono fare a meno di risolutori. In epoca più recente, Anthony Pellicano si confermò tra i più efficaci fixer di Hollywood e fu arruolato da un numero cospicuo di star desiderose di risolvere problemi. La sua condotta sollevò parecchi dubbi per le intercettazioni legate al divorzio tra Tom Cruise e Nicole Kidman, ma il suo operato si diffuse ben oltre l’ambito cinematografico, in regioni in cui uno scandalo può creare disastri ben più gravi. Come quando fu ingaggiato per screditare Gennifer Flowers, sedicente amante di Bill Clinton, o coinvolto nel famigerato scandalo Lewinsky. Indagini svolte con metodi tutt’altro che ortodossi che gli fecero guadagnare accuse e processi, nonché 15 anni di carcere per reati quali estorsione e intercettazioni illegali. Il prezzo da pagare per continuare a far sognare chi crede ancora nella fabbrica dei sogni.
Joel Coen e George Clooney sul fare cinema (Rete Due, 11.2.2016)
RSI Cultura 12.02.2016, 01:26
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