Padre Andrea Schnöller, 83 anni, frate cappuccino svizzero nato e cresciuto nel piccolo villaggio di Tiefencastel, risiede presso il santuario della Madonna del Sasso sopra Locarno. Insegnante di meditazione, studioso di religioni anche orientali, è guida e riferimento per tante persone.
A inizio anni Duemila, Schnöller ha avviato nel convento francescano di Condino, a Trento, un centro per ritiri spirituali legato all’associazione “Il Ponte sul guado”. Qui ha incessantemente parlato a credenti e non credenti della «strada del silenzio», ovvero l’ascolto di sé e degli altri, ascoltarsi per raggiungere, anche attraverso lo yoga, la consapevolezza di chi si è.
I suoi amici è di lui che parlano all’interno di “Andrea Schnöller. Consapevolmente uomo”. Un libro edito da Gabrielli Editori che racconta la sua storia e la sua vita, curato da Miciej Bielawsi e Franco Stefanoni.
Padre Andrea, partiamo dall’inizio. Ha sei anni quando si trova davanti al cadavere di suo padre inerme nel letto di casa. Cosa le accadde?
«Fu un’esperienza traumatica. Un evento che mi ha segnato profondamente. Avevo un rapporto bello, forte, intimo con lui. Trovarmi così, in modo del tutto improvviso, dalla sera alla mattina, davanti al suo cadavere, mi ha fatto sentire in modo netto, preciso, il potere della morte. Con la morte tutto finisce. Non c’è ritorno. Non c’è più nulla da sperare. Cadavere è, e cadavere rimane. Erano percezioni, sensazioni, non riflessioni, ragionamenti. Ma il messaggio era chiarissimo. È stata un’esperienza di qualche minuto, forse anche di un solo minuto o di qualche secondo. Ma di una chiarezza unica, che non lascia adito a dubbi: con la morte tutto finisce. Non c’è più niente da fare. Poi uscii – o mi accompagnarono fuori dalla stanza – e andai a giocare con i compagni».
Crescendo, a soli dodici anni, manifestò il desiderio di farsi frate - a Faido, nel distretto di Levantina, in Ticino -, una scelta che le provocò anche dolore, perché?
«L’idea di farmi frate mi passò per la testa quando avevo otto-dieci anni. Altri tre compagni di classe avevano scelto di venire con me. Ma la loro scelta sfumò abbastanza rapidamente. Penso fossero più svegli o, comunque, meno sognanti e imbranati di me. A motivare la nostra scelta non c’era nulla di soprannaturale. Fu una cosa molto semplice. Un frate ci aveva mostrato delle foto in cui figuravano alcuni “fratini” del collegio cappuccino di Faido che sciavano a Carì. Questo fu il grande stimolo. Poi, certamente, col tempo subentrarono anche altre motivazioni. Ma quella rimase la principale. Tra le varie motivazioni c’erano anche quelle di ordine sociale, di solidarietà col prossimo, di amore a Dio e ai fratelli, ma anche di un certo “orgoglio” personale. Diventare frate o sacerdote ti permetteva di essere “qualcuno”. In un tempo non lontano da noi, anche per i genitori, per la famiglia e per lo stesso paese, avere un sacerdote era motivo di ammirazione. Oltretutto, chi intraprendeva questo cammino, se poi cambiava strada, veniva subito tacciato d’essere inetto, privo di stabilità, poco affidabile. Oggi, fortunatamente, non è più così. Comunque, a dodici anni ho fatto la mia scelta, e sono entrato nel Seminario. Non mi sono mai pentito di aver fatto quella scelta, anche se mi sono posto molte domande e, credo, oggi non la farei più o, comunque, lo farei diversamente. Non si può decidere della propria vita a dodici anni. Anzi, non dovremmo decidere mai in modo “assoluto”, “definitivo”. Dio è libertà e amore, non è mai costrizione. La nostra “conoscenza”, sia della realtà di noi stessi che della vita, è sempre in divenire. È un processo naturale, che Dio rispetta. E anche noi dovremmo imparare a rispettarlo, pur imparando nel contempo ad assumere i nostri impegni, a sviluppare il senso di responsabilità e di affidabilità».
Lei crede che Dio, se esiste, chiami a una vocazione oppure che l’uomo sceglie liberamente chi essere e il divino in qualche modo si adegua a lui?
«È una domanda, questa, che ci rinvia verso un mondo relazionale estremamente articolato e complesso. Io credo, anzitutto, che noi siamo in un intimo rapporto con Dio, che è a fondamento di tuttto ciò che esiste. Ma chi conosce a fondo questo aspetto della vita è solo lui. Dio sa come sono le cose. I nostri dicorsi, quando meditiamo, parliamo, riflettiamo su queste cose, sono sempre e soltanto dei balbettii, quando non sono degli strafalcioni che non stanno né in cielo né in terra. Facciamo bene a meditare in silenzio su questi argomenti, a parlarne, a lasciarci istruire da chi è più avanti di noi, ma cerchiamo di essere sempre molto, molto modesti. Per quanto mi riguarda posso dire che, posto di fronte a queste domande, spesso ci rifletto anche a lungo, ma poi preferisco rimandare il quesito a Dio, perché sia Lui a rispondere, quando e come gli pare. Le stesse risposte che ci vengono da Dio sono parziali, perché Dio è tutto e sa tutto, ma la nostra conoscenza della verità e della vita è sempre parziale e imperfetta. E tale è il nostro linguaggio».
Durante il noviziato in Italia ebbe momenti mistici? Se sì, cosa accadde? E più in generale cos’è la mistica per lei?
«Karl Rahner, che molti considerano il maggiore teologo del ventesimo secolo, non esita ad affermare che il cristiano di domani o sarà un mistico, cioè uno che ha sperimentato qualcosa, oppure non sarà niente. Antonio Hortelano Alcázar, un teologo spagnolo anch’esso molto conosciuto, aggiunge: “Oggi il mondo ha più che mai bisogno di un ritorno alla contemplazione e al silenzio. Il vero profeta della Chiesa futura sarà un uomo che verrà dal deserto come Mosé, Elia, il Battista, Paolo, e soprattutto Gesù, carico di misticismo e di quello splendore particolare che hanno gli uomini abituati a parlare a tu per tu con Dio”. “Mistica”, “misticismo”, hanno per me questo significato. È un esperienza del divino. Può essere un’esperienza straordinaria che segna profondamente la persona che ne è il soggetto, ma si riflette anche su chi le vive accanto. Altre volte può essere un’esperienza più semplice, ma i cui frutti ti rendono una persona più allegra, gioiosa, serena, leggera, capace di portare con mano leggera anche gli ostacoli e le difficoltà della vita. Chi vive questo tipo di esperienza si rende conto che è un’esperienza che viene dall’alto, per cui l’accoglie come un dono di Dio e la custodisce come un dono prezioso, con gratitudine, grande riconoscenza e amore».
Padre Andrea Scnhöller
Fin da subito nella sua vita religiosa mostrò di avere grandi aperture. Sul Messaggero, rivista della Madonna del Sasso, fece scrivere autori anche provocatori, come Ortensio da Spinetoli che scriveva della sessualità nella Bibbia. Fu osteggiato per questo dalla Chiesa cattolica?
«Riconosco di essere stato sempre – o quasi – una persona molto aperta. Questo anche perché ho avuto sempre una spiccata consapevolezza dei miei limiti, ignoranza e difetti. Anche in campo religioso mi è sempre venuto spontaneo mettermi dalla parte di chi veniva criticato, ostacolato o considerato eretico. Come insegnante di teologia ho avuto don Martino Signorelli, bravissimo. Quando facevamo delle prove scritte, don Martino mi ha sempre dato delle note molto alte. Il motivo principale, mi diceva, è perché prendi in considerazione quegli autori che altri scartano su due piedi, perché sono incapaci di prendere in considerazione quegli autori che non la pensano come la teologia più ufficiale, spesso incapace di autocritica e di creatività. È stato anche il mio atteggiamento nei confronti di padre Ortensio da Spinetoli, che ho sempre aprezzato moltissimo e che ho sempre considerato come un validissimo collaboratore del Messaggero. Mi ha creato qualche “grana” con alcuni abbonati più tradizionalisti. Ho anche avuto qualche contestazione da parte di alcune autorità ecclesiastiche. I superiori dell’Ordine dei Frati Cappuccini, invece, mi hanno sempre espresso il loro pieno sostegno e sono anche intervenuti in tale senso in alcuni casi particolari».
Poi ebbe «giorni e anche tempi più prolungati di crisi profonda», si legge nel libro a lei dedicato, che la portarono a una svolta esistenziale. Maturò qui la strada della meditazione?
«Non so esattamente a cosa si riferisce con l’espressione “tempi più prolungati di crisi profonda”. Posso dire che tempi di “crisi” li ho sempre avuti. Non è possibile vivere, soprattutto oggi, senza andare in crisi. Andare in crisi – di qualsiasi natura sia questa crisi – non è sicuramente un’esperienza esaltante o piacevole. Ma è sicuramente necessaria per crescere. La vita è un processo, è un continuo cambiamento, è crescere. Il mio approccio alla meditazione di consapevolezza – cioè, di presenza e di ascolto – è stato per me un grande aiuto a vivere bene questi momenti di crisi, facendo leva sulla pace interiore, sul silenzio che ascolta e si dispone a capire; ma anche sulla pace fisica, la cura e il benessere del corpo, l’armonia, l’abbandono fiducioso e la consegna radicale di me stesso a una Presenza intelligente, sollecita e buona, che mi rassicurava e, quando occorreva, mi rimproverava e correggeva, ma sempre con tanto affetto e fedeltà».
Cosa significa per lei meditare? Come avviene la meditazione? Può descrivere cosa accade?
«Più vado avanti nel mio cammino meditativo, e più mi rendo conto che la meditazione è essenzialmente un cammino di educazione sistematica e perseverante del corpo, della mente, del cuore e dello spirito alla pace interiore, alla calma, alla serenità, al silenzio che ascolta con empatia tutto ciò che la vita ci fa incontrare o ci presenta. È un allenamento che richiede, come ho appena detto, tempo e perseveranza. L’impazienza e la fretta sono il grande ostacolo alla retta meditazione. Ma qui ci sarebbe molto da dire, perché sono molti gli elementi che qualificano il silenzio meditativo, e sono altrettanto numerosi gli elementi che lo ostacolano, senza che neppure ce ne accorgiamo».
Nel suo percorso ha praticato lo yoga, come si concilia con l’esperienza cristiana?
«Lo yoga è meditazione. Credo che si possa realisticamente parlare di meditazione cristiana, meditazione biblica, meditazione induista, meditazione buddhista e così di seguito. Perché ogni tradizione ha le sue particolarità, che sono preziose. Ciò nonostante, credo che la meditazione sia fondamentalmente una. Qualcuno ha detto: “Se sei in amore con una situazione sei in meditazione”. È fantastico! Giuseppe Ungaretti scrive: “Mattino: M’illumino d’immenso”».
Franco Stefanoni la definisce «l’antiguru», cosa significa?
«A dire il vero, neppure io capisco bene il senso di quest’espressione. Ma l’impressione è che Franco intendesse dire: nel suo rapporto con le persone e i gruppi di meditazione padre Andrea non intende essere un maestro, ma un discepolo come tutti quelli che lo frequentano. E questo mi va benissimo. Ma sono sicuro che va benissimo anche per la stragrande maggioranza di tutti coloro che nella tradizione induista sono chiamati “guru”».
Perché nella Chiesa cattolica chi percorre strade di meditazione e di silenzio è messo ai margini?
«Credo che oggi non sia più così. Se fosse ancora, l’unica cosa che si può dire è: “Sarebbe ora di cambiare!”».
Il cristianesimo per secoli ha proposto un Dio che vive nell’alto dei cieli e che da lì dispensa grazie. Un Dio per molti oggi del tutto non-credibile. Eppure, magistero e liturgia spesso è a questo Dio che richiamano e nelle parole di molti consacrati o laici credenti . Perché secondo lei nella Chiesa cattolica e più in generale nel cristianesimo non si riesce a iniziare un altro percorso, un’altra concezione del divino e del credere?
«Tutto ciò che riguarda Dio e il mondo di Dio è, per i credenti e i praticanti di una determinata istituzione religiosa, molto importante. È questo, credo, il motivo per cui i cambiamenti – e, quindi, le conversioni – sono in genere lentissime. Carlo Molari diceva – parlando della croce di Gesù – che per secoli i predicatori hanno proclamato dai pulpiti delle vere e proprie bestemmie, con grande trasporto e devozione. Citava Jacques Bénigne Bossuet, Giovanni Calvino e altri grandi predicatori. E le cose funzionavano, perché, nonostante tutto, fiorivano i santi. Ma la comprensione è importante!».
Chi fu Gesù per lei?
«La nostra mente s’interroga, e non abbiamo il diritto di metterla a tacere. È una domanda da porre con grande semplicità e umiltà. La risposta viene dal silenzio che ascolta e dalla fede-fiducia che ci permette di vivere esperienze preziose e convincenti. Gesù è una Presenza amica, che sicuramente non ci lascerà delusi. Credo, comunque, che sia anche una di quelle domande alle quali non si può rispondere facendo leva soltanto sulle risorse razionali della nostra mente, ma anche su quelle del cuore, che ha ragioni che la ragione non conosce».
Quando morì suo padre sperimentò che la morte è la fine di tutto. Oggi cos’è per lei la morte?
«Provo a rispondere con l’intuizione. Non riesco a pensare a un mondo che non cammina alla luce di un progetto. È troppo complicata la creazione, il cosmo, per potere attribuire tutto al caso. È troppo intelligente l’universo. Basta guardare anche solo all’intelligenza del nostro corpo… È qualcosa di meraviglioso. Se c’è un’intelligenza nella vita significa che questa intelligenza è un tu che ci accompagna diverso da noi. È Dio. Chi è Dio? Non sappiamo definirlo. Gesù però è una guida, un maestro, è un buon sentiero che fa crescere nell’amore. Uno scienziato diceva a Raimon Panikkar: mi convinco sempre di più che il grande principio che è alla base di tutto ciò che esiste è l’amore. E amando la luce entra e illumina la nostra esistenza».
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