Nel vasto panorama della narrativa autobiografica contemporanea, Il filo spezzato di Fausta Pezzoli Vedova arriva come un racconto necessario. Non solo per la delicatezza con cui affronta il tema della malattia, ma per il coraggio con cui illumina una figura troppo spesso invisibile: quella del familiare curante, il caregiver.
Pubblicato da Armando Dadò Editore, il libro si inserisce nel crescente filone editoriale che dà voce alle esperienze di cura e fragilità, ma lo fa con una cifra stilistica e umana che lo distingue nettamente. Giornalista ticinese con una lunga esperienza nella cronaca e nella cultura, Pezzoli Vedova adotta la forma del diario per raccontare sette anni accanto al marito, colpito da una forma grave di demenza vascolare.
La rottura e la resistenza dell’amore
Il titolo, Il filo spezzato, allude alla frattura del legame profondo della memoria e della comunicazione, ma anche alla possibilità di riscoprirne uno nuovo, più essenziale, fondato su gesti minimi, silenzi, presenza. Un amore che non si misura più in parole, ma in dedizione quotidiana.
Lo stile sobrio, quasi cronachistico, evita ogni facile sentimentalismo. E proprio in questa essenzialità risiede la forza del racconto, che riesce a trasmettere emozioni autentiche. L’autrice non impone risposte, ma lascia emergere domande cruciali: Cosa significa prendersi cura? Qual è il posto del caregiver nella nostra società? Come si sopporta la solitudine della cura?
Scelte difficili, narrate con pudore
Uno dei passaggi più intensi riguarda il momento in cui la cura in casa non basta più. La scelta, lacerante ma inevitabile, di affidare il marito a una struttura sanitaria è narrata con pudore e umanità. Senza giudizi, ma con una sincerità che permette al lettore di riconoscersi, di sentirsi meno solo.
Cura e perdita nel tempo della pandemia
Il contesto della pandemia, che fa da sfondo agli ultimi capitoli, aggiunge un ulteriore livello di drammaticità. Il marito muore in istituto, durante il confinamento, privato del contatto umano. Il lutto diventa più silenzioso, ma anche più universale. La scrittura si fa allora strumento di memoria e condivisione, trasformando il dolore in riflessione collettiva.
La parola che cura
La prefazione dello psichiatra Graziano Martignoni offre una chiave di lettura preziosa: Il filo spezzato non è solo un libro sul dolore, ma sulla resilienza. Sull’amore che persiste. Sulla possibilità di trasformare la sofferenza in parola, e la parola in cura. È un testo che può essere letto come strumento, come testimonianza, come gesto di solidarietà. Utile per chi vive situazioni simili, ma anche per chi opera nei mondi della salute, della formazione, dell’educazione.
Conclusione
Il filo spezzato è, prima di tutto, un atto di testimonianza. Un racconto che rompe il silenzio attorno a esperienze spesso consumate nell’ombra. Un filo che, pur spezzandosi, continua a legare. E ci invita a guardare alla fragilità non come a un limite, ma come a uno spazio possibile di relazione.
Cure palliative
Alphaville 10.06.2024, 12:35
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