Dialogo interreligioso

Il destino dell’anima, dissolversi o evolversi?

Vito Mancuso e la visione evolutiva dell’esistenza umana oltre la metafora di Panikkar

  • 36 minuti fa
Panikkar
Di: Vito Mancuso, teologo e filosofo

Pubblichiamo un estratto di un intervento di Vito Mancuso contenuto nel libro Incontrare Panikkar. Un’esperienza che cambia lo sguardo a cura di Patrizia Gioia (Edizioni Àncora), nel quale il filosofo e teologo italiano parla dell’anima e del suo destino, mettendo a confronto la sua visione con quella del filosofo, teologo e scrittore spagnolo di origini indiane Raimon Panikkar. In questo passaggio, Mancuso analizza la metafora della goccia d’acqua che ritorna al mare, utilizzata da Panikkar per descrivere il destino dell’anima, e propone una sua interpretazione alternativa basata su una visione dinamica e processuale-evolutiva dell’esistenza umana. All’interno del volume, pubblicato in occasione dei quindici anni dalla scomparsa di Panikkar (1918 – 2010), ci sono anche gli interventi di altri studiosi dedicati al loro incontro con Panikkar che, noto per il suo pensiero che univa le culture occidentali e orientali, fu un pioniere del dialogo interculturale e interreligioso.

(Qui Mancuso inizia parlando della seconda differenza del suo pensiero rispetto a quello di Panikkar - concentrandosi sul tema dell’anima e del suo destino - dopo aver discusso della concezione di Dio).

La seconda differenza riguarda l’anima e il suo destino, questione esemplificata dalla domanda sulla salvezza e centrale nelle religioni e nelle spiritualità (filosofia antica compresa, di cui Hannah Arendt diceva che avesse come fine «il conseguimento dell’immortalità»; cf. anche Pierre Hadot). Essere salvati, in particolare essere salvati dal nulla della morte: la ricerca spirituale è nata da tale questione.

Panikkar l’affronta mediante la metafora della goccia d’acqua che ritorna nel mare, che egli dichiara di aver ritrovato «un po’ dappertutto, nelle letture persiane, indiane, cristiane, ebraiche», e che presenta così: «Noi siamo gocce d’acqua. Che cosa ne è della goccia d’acqua quando muoio? La goccia scompare. Cade nel pelago infinito. Scompari? Ma che cosa sei tu in realtà: la goccia d’acqua oppure l’acqua della goccia? Durate la nostra vita mortale, noi dobbiamo realizzarci come acqua, e non soltanto come goccia. La goccia è il luogo delle mie lotte, delle mie cadute e delle mie vittorie - di tutto quello che mi causa gioia e sofferenza in forma immediata. Ma se mi realizzo in maniera autentica, se sono in ascolto della realtà che sono in profondità, io sono acqua».

Io non sono d’accordo con questa visione delle cose. Se si intende con acqua l’energia costitutiva degli enti, anche un qualsiasi altro vivente è acqua, anche una pietra lo è. Lo specifico di ogni ente non è quindi l’acqua, ovvero l’energia costitutiva che è la medesima per tutti gli enti, bensì la goccia, ossia l’informazione che fa di quel quantum di energia quell’ente irripetibile, differente da ogni altro. È la forma o informazione (eidos, idea, morphé), non l’energia, a fare di ognuno di noi quello che veramente è. È la goccia, non l’acqua.

Lo specifico umano è di comprendersi in quanto acqua, ma questo comprendersi in quanto acqua (ovvero questa consapevolezza) è goccia, cioè una particolare disposizione dell’energia che avviene solo nel fenomeno umano e che si può chiamare spirito (pneuma, nous). È in questo comprendere e comprendersi che risiede lo specifico umano. Ne viene il mio disaccordo con Panikkar quando dice che, se sono in ascolto della mia realtà più profonda, io sono acqua («ma se mi realizzo in maniera autentica, se sono in ascolto della realtà che sono in profondità, io sono acqua»). A mio avviso invece la mia realtà più profonda non è l’acqua che mi rende uguale a tutti gli altri enti, ma lo spirito che mi porta alla consapevolezza della mia specificità, ciò che Jonas nel saggio Homo pictor chiama Differentia des Menschen. È questa differenza specifica nella sua forma particolare a costituire quella peculiarità che fa dell’uomo qualcosa di diverso dal mondo.

E che l’uomo sia diverso dal mondo (differenza che si può dare grazie al suo essere goccia) lo riconosce lo stesso Panikkar quando pone la trinità radicale di Dio-Mondo-Uomo, senza ridurre l’uomo al mondo (cioè la goccia al mare) ma differenziandolo rispetto ad esso. Se Panikkar non avesse parlato di cosmoteandrismo ma semplicemente di cosmoteismo assorbendo l’uomo nel cosmo, il suo sistema a mio avviso sarebbe coerente. Ma così non è: egli parla di cosmoteandrismo, distinguendo l’uomo sia da Dio sia dal mondo.

Ne viene quindi a mio avviso una contraddizione, consistente nel fatto che da un lato egli pone la differenza uomo-mondo e dall’altro la nega dicendo che la nostra più vera identità è il nostro essere acqua e non goccia.

In realtà l’essere non sta all’uomo come il mare sta alla goccia. Nella goccia è contenuta esattamente la medesima acqua del mare; nell’uomo invece non è contenuta la medesima dimensione dell’essere che era presente nel mondo da cui egli è fuoriuscito. Nell’uomo, a fare la differenza, c’è la consapevolezza, la coscienza, la mente creativa, il pensiero, la libertà, lo spirito.

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Mentre quindi l’assorbimento della goccia nel mare produce un logico ritorno (reditus, epistrophé) di ciò che si era solo provvisoriamente differenziato senza mutare nulla dal punto di vista ontologico, l’assorbimento totale dell’uomo e del suo sé (coscienza, anima, spirito) nell’essere del mondo produrrebbe un ritorno illogico, uno spreco, un salto del tutto vano, configurando così il mondo come un gioco magari bello, di certo molto doloroso, ultimamente insensato. Il che, ovviamente, non si può escludere, solo che va nella direzione contraria rispetto alla logica con cui l’espansione-evoluzione si è manifestata su questo frammento di universo chiamato pianeta terra.

Panikkar sostiene una visione ciclica del flusso naturale e storico, io invece una visione dinamica e processuale-evolutiva. La mia intuizione della vita è differente, io sento che nella vita è in gioco qualcosa che si fa e condivido la prospettiva di Goethe: «In principio era l’azione». Vedo all’opera la logica della discontinuità, che si potrebbe anche definire salto quantistico, in base a cui da un livello dell’essere scaturisce un altro livello, contenuto nel precedente ma diverso, ontologicamente diverso e non linearmente prevedibile.

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La nuova innocenza (di Werner Weick) - 07.02.2001

RSI Cultura 24.01.2017, 15:54

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