Nel cuore del deserto del Sinai, in Egitto, dove da millenni la pietra incontra il cielo e il silenzio si fa preghiera, rischia di nascere un resort di lusso. Il governo egiziano ha annunciato un piano di “riqualificazione turistica” che prevede alberghi, piscine, infrastrutture e un ampliamento dell’aeroporto nei pressi del monastero di Santa Caterina, uno dei luoghi più sacri e antichi della storia. Un progetto che, secondo molti, potrebbe spezzare l’equilibrio millenario di un’area venerata da cristiani, ebrei e musulmani.
Come racconta a Chiese in diretta il giornalista e corrispondente di guerra Luca Steinmann, da poco rientrato dall’Egitto, «fino ad oggi Santa Caterina si trova in un territorio completamente vergine dal punto di vista architettonico. È ubicata in una gola circondata da alte montagne desertiche, lontana da tutto: un luogo perfetto per la solitudine, la riflessione e la preghiera».
Il monastero, fondato nel VI secolo per volere dell’imperatore Giustiniano, sorge ai piedi del Monte Sinai, dove – secondo la tradizione biblica – Mosè ricevette le Tavole della Legge. Il suo cuore spirituale è un piccolo rovo, considerato da sempre il roveto ardente attraverso cui Dio si rivelò al profeta. «È per questo – spiega Steinmann – che il monastero non è mai stato distrutto: tutte le grandi religioni lo hanno sempre rispettato e preservato».
Ma oggi, per la prima volta dopo 1500 anni, questo equilibrio sembra in pericolo. Il piano del governo egiziano prevede la costruzione di resort e strutture turistiche intorno a Santa Caterina. I monaci potranno restare, ma temono che la riqualificazione alteri la natura del luogo, trasformandolo in una semplice attrazione turistica.
Il Sinai è da sempre una regione strategica e fragile, stretta tra Israele, Gaza e il Mar Rosso. L’Egitto, tra una crisi economica e una crescita demografica esplosiva, punta sul turismo come fonte di entrate e stabilità. Questa decisione risponde dunque a esigenze politiche ed economiche, ma rischia di compromettere l’anima stessa del deserto.
Durante la sua visita, Steinmann ha incontrato padre Michael, il monaco che oggi guida la comunità dopo le dimissioni del suo predecessore, avvenute in segno di protesta contro le misure governative. «Padre Michael è stato molto prudente – racconta il giornalista – consapevole che ogni parola può pesare nei delicati rapporti con il governo egiziano. Ma è evidente la preoccupazione dei monaci per il futuro del monastero».
Chi ha avuto la fortuna di raggiungere Santa Caterina conosce la forza di quel silenzio. Per arrivarci bisogna infatti attraversare il deserto per ore, poi entrare in una gola stretta tra montagne color rame. Il monastero, costruito con le stesse pietre del paesaggio, si confonde con la roccia. Lì non si sente nulla, se non il passo lento dei cammelli e i carretti dei beduini.
Quel silenzio potrebbe presto lasciare spazio alle voci dei turisti, alle luci dei resort, al ronzio degli aerei. Finora solo pochi pellegrini, partendo da Sharm el-Sheikh, si spingevano fino al monastero per poi salire sulla montagna di Mosè, un’esperienza dura e spirituale. Il nuovo progetto punta invece a rendere tutto “più accessibile”, più comodo, più redditizio.
Ma a quale prezzo? Santa Caterina non è solo un monastero: è un simbolo di dialogo e di resistenza, un luogo dove per secoli la fede ha convissuto con la sabbia e il vento. Entrarvi è come accedere a un’altra dimensione, fuori dal tempo e dalle guerre che infuriano così vicino.
Oggi quel fragile equilibrio rischia di infrangersi sotto il peso del turismo di massa. Se il progetto verrà realizzato, uno dei pochi luoghi rimasti intatti sulla Terra potrebbe essere inghiottito dal rumore del mondo. E il roveto ardente, che da millenni arde senza consumarsi, potrebbe vedere per la prima volta vacillare la sua fiamma.






