Da alcuni decenni a questa parte viviamo in un mondo di pressoché infinite possibilità di scelta, perlomeno in Occidente. Cresciamo i nostri figli insegnando loro che tutto è possibile, che nella loro vita potranno essere e fare tutto ciò che vorranno. Che ognuno di noi è libero di cambiare, trasformarsi, reiniziare continuamente, a qualsiasi momento della propria vita.
Un tempo le cose erano ben diverse. L’individuo medio aveva sicuramente meno opzioni a portata di mano. Meno possibilità di comunicazione, meno autonomia, meno conoscenze generali, meno luoghi in cui viaggiare, meno potere d’acquisto, meno possibilità di emancipazione sociale e culturale. Per dirla in breve, il figlio del panettiere avrebbe fatto il panettiere alla bottega del padre, o se proprio aveva lo spirito ribelle e indomito si sarebbe trasferito nel villaggio accanto per aprire la propria panetteria. Naturalmente le cose erano più intricate di così, ma nulla in confronto alla complessità della realtà odierna.
Ma quali sono i veri pericoli di questa enorme libertà acquisita?
L’illusione della libertà assoluta
Verrebbe da dire che maggiore possibilità di scelta porti maggiore libertà e che maggiore libertà porti maggiore felicità e benessere. Tuttavia la realtà si sta rivelando essere un’altra. Le nuove generazioni (la mia compresa) vivono una mancanza di chiarezza e direzione. Il grande numero di scelte a cui si è confrontati fin da giovanissimi rende lo scegliere molto difficile. Soprattutto perché a quell’età si rischia di cadere in un ingenuo idealismo da sognatori, che poco riflette le reali possibilità di vita. Capita dunque molto spesso che si inizi una scuola, poi un’altra e un’altra ancora, senza avere una sola visione continua e concreta.
Genitori troppo buoni e permissivi lasciano che il figlio trentenne viva ancora a casa loro mentre trovi la sua strada, tra una laurea in giapponese e un master in arte digitale. Questa attitudine si riflette eventualmente non solo nel percorso di studi, ma in ogni area di vita.
https://rsi.cue.rsi.ch/rete-due/Vivere-al-mondo.-L%E2%80%99antropologia-del-quotidiano--2895171.html
Superficialità e mancanza di maestria
Oggi ci troviamo in un momento storico in cui facciamo fatica ad andare a fondo nelle cose. In cui saltiamo da una scelta all’altra con facilità, in cui evitiamo il duro lavoro che ogni percorso approfondito richiede. Complice la tecnologia, che ha grandemente facilitato la capacità di fare ricerca, oggi è raro trovare uno di quegli antichi maestri in grado di incantare un’intera platea per ore, con la sua profonda conoscenza e esperienza acquisita. Oggi vanno forti le frasi brevi di Instagram: banalità generate dall’intelligenza artificiale o parafrasando un bestseller tascabile in vendita al supermercato. Al punto che quello che rimane è un grande sentimento di piattezza, di grande superficialità che ormai ha pervaso ogni ambiente. Ricordo una volta in cui guardavo un documentario sulla cucina giapponese e il giornalista chiedeva allo chef, “qual è il segreto per un buon sushi?” e lo chef pluripremiato rispondeva “non lo so ancora, è solo da ventotto anni che faccio sushi”. Oggi quanti di noi dedicano ventotto anni della propria vita al perfezionamento di un’arte o di una maestria? Oggi viviamo il risultato di un’epoca votata alla quantità anziché alla qualità, in cui la rapidità vince la profondità, e la facile comprensione vince il pensiero filosofico e profondo.
Scavare in profondità
Mi sorge alla mente una vecchia citazione del grande mistico indiano Sri Swami Satchinananda che scrive “se vuoi trovare l’acqua non scavare dieci pozzi profondi sei piedi, ma un solo pozzo profondo sessanta”. Eppure noi oggi di buche non ne scaviamo dieci, ma cento, mille, un milione. E da ognuno di quei pozzi pretendiamo di ottenere una profonda comprensione.
Il coraggio di impegnarsi
Il mio invito è dunque quello di dedicarsi a poche cose nella vita, ma con profondità. E il segreto per questo è racchiuso in una parola sola: disciplina. La disciplina è quello strumento che ci permette di andare oltre la nostra debolezza dell’istante presente. La disciplina va costruita, in ogni gesto. Così che dopo dieci anni di dedizione possiamo vedere un percorso coerente, una linea che se non retta è comunque in continua ascesa, un viaggio di scoperta e approfondimento.
Chiunque abbia mai appreso uno strumento musicale o si sia dedicato a un mestiere artigiano sa bene che la vera maestria può nascere solo dalla pratica costante e disciplinata.
La disciplina di cui parlo non è la disciplina marziale imposta con insulti e grida sulla piazza d’armi, ma una volontà interna a essere presenti, costanti e concentrati sul proprio obiettivo di vita.
La pace oltre le infinite scelte
Un tempo avevamo un Dio, una divinità superiore e onnisciente che scrutava ogni nostro gesto, e a cui dunque ogni gesto veniva dedicato, per timore e riverenza. Oggi quel Dio minaccioso è scomparso dalla vita della maggioranza, ma ciò che ci farebbe bene ricordare è l’essenza delle filosofie antiche, un’essenza che va ben oltre il credo religioso. Se Dio è il termine metaforico per rappresentare “Ciò che è buono”, dedicare a esso ogni nostro gesto significa “fare il Bene”, o, in altre parole, “fare ciò che ci fa star bene”.
Si legge nella Bhagavad Gita (testo sacro dell’Induismo): “Tyāgat śāntir anantaram” o “Dalla totale dedizione nasce infinita pace”. Perché contrariamente a quel che possiamo pensare, non importa tanto ciò che scegliamo di fare, purché venga fatto con costanza e dedizione. E una totale dedizione non può che portare all’approfondimento di un solo cammino, allo scavare un solo pozzo che raggiunga le profondità.
È di nuovo il maestro Sri Swami Satchinananda a scrivere nella sua traduzione e commento allo Yoga sutra di Patanjali “Tutto ciò che facciamo può essere trasformato in preghiera attraverso la nostra attitudine. Possiamo dedicarci a qualsiasi cosa e a ogni cosa fintanto che lo facciamo con l’idea di servire il mondo. […] La reale pace della mente è possibile solamente quando dedichiamo completamente tutto noi stessi. Così troviamo la libertà.”
Dalla dedizione la libertà
Ed è proprio quest’ultimo concetto quello con cui vorrei terminare. Non è attraverso il cambiare idea, opinione e percorso di vita mille volte che troviamo la nostra libertà. Non è attraverso il saltare di buca in buca che troviamo l’acqua che ci disseta. La libertà ultima nasce dalla dedizione costante, dalla profondità, da un senso di totale presenza. E nel gesto d’amore che da queste qualità fiorisce.