Un grande equivoco accompagna la storia di Nietzsche, in particolare il suo saggio L’Anticristo: che egli potesse avere in dispregio la figura del Nazareno. Niente di più fuorviante.
Egli aveva semmai in dispregio – anzi, avversava con tutto se stesso – ciò che della figura di Cristo, soprattutto a partire dalla predicazione di san Paolo, avrebbe fatto il cristianesimo. Odiava senza mezze misure quello che chiamava, riferendosi al cristianesimo, il «platonismo per la plebe». Un’espressione definitiva, che racchiude in sé tutto ciò che di più radicale accompagna la sua critica: aver spostato l’attenzione dalla realtà di Cristo alla metafisica della redenzione. In altre parole, aver costruito un immenso edificio di salvezza al di là della vita, per non fare i conti con il suo al di qua.
Per Nietzsche, Cristo era invece soprattutto la sua realtà, la sua vita, il suo essere immanente, il dolore umano, troppo umano che il suo corpo patì. Mentre «il puro spirito è una pura stupidaggine» e «né la morale né la religione vengono a contatto, nel cristianesimo, con un qualsiasi punto della realtà».
Su questi assunti di un radicale scollamento tra Cristo e cristianesimo Nietzsche costruisce la sua requisitoria: da una parte un uomo in carne e ossa che vive coerentemente e senza «finzioni» e «false immaginazioni» la sua vita di uomo (o, come diceva lui stesso, di «Figlio dell’Uomo»). Dall’altra un cristianesimo, cioè una vera e propria «istituzione di potere», che disprezza la vita e la natura in nome di una «immaginaria psicologia» del tutto priva di fondamenti reali, nonché integralmente votata a «promesse inventate». Tanto che con il cristianesimo, «dopo che si trovò nel concetto di “natura” il concetto antitetico di “Dio”, la parola “naturale” dovette equivalere a “riprovevole”».
In poche riflessioni, Nietzsche ci ricorda così che il cristianesimo è la contraddizione della vita di Cristo. Ovvero che «Dio è degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione e l’eterno sì! In Dio» (nel Dio del cristianesimo) «è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell’“al di qua”, di ogni menzogna dell’“al di là”!»
Di conseguenza Nietzsche – nel denunciare la rinuncia al «dionisiaco» da parte della Chiesa, che è infine rinuncia all’hic et nunc dell’esistenza – contrappone al cristianesimo il buddhismo, dove aleggia «un clima molto mite, una grande pacatezza e liberalità di costumi, nessun militarismo» (e ancora «il buddhismo non promette, ma mantiene, il cristianesimo promette tutto, ma non mantiene nulla»), laddove «cristiano è viceversa un certo senso di crudeltà verso sé e gli altri, l’odio contro coloro che pensano diversamente; la volontà di perseguitare (...), l’odio contro i sensi, contro le gioie dei sensi, contro la gioia in generale».

Edizione italiana dell'Anticristo, 1927
Conseguenza di simili affermazioni? Che nel cristianesimo, secondo Nietzsche, «una specie parassitaria di uomini, che prospera unicamente a spese di tutti i sani organismi vitali, quella dei sacerdoti, abusa del nome di Dio». E conclusione ineluttabile? Che «in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce. Il Vangelo morì sulla croce. Ciò che a cominciare da quel momento è chiamato “Vangelo”, era già l’antitesi di quel che lui aveva vissuto: una “cattiva novella”, un Dysangelium».
Parole durissime. Parole che diventano ancora più esacerbate quando Nietzsche si scaglia contro Paolo, la cui «invenzione, l’unica cosa che più tardi Maometto prese a prestito dal cristianesimo, fu il suo mezzo per realizzare la tirannide dei sacerdoti, per formare delle mandrie». Vale a dire, con Paolo, «tutto quanto negli istinti è benefico, promotore di vita, mallevadore dell’avvenire, desta ormai diffidenza. Vivere in modo che non ha più senso alcuno vivere, questo diventa ora “il senso” della vita». Con l’ovvia conseguenza che «una religione, come il cristianesimo, che non si trova a contatto con la realtà in nessun punto, e che crolla non appena la realtà anche soltanto in un punto afferma il suo diritto, deve logicamente essere nemica mortale della “sapienza del mondo”, voglio dire della scienza».

A casa di Nietzsche
RSI Shared Content DME 23.08.2021, 12:42
Nietzsche smonta interi edifici di «false illusioni», e riporta l’uomo, a partire dallo stesso Nazareno, a se stesso. Ma a quale scopo? Forse solo quello di stigmatizzare un mondo, a partire da una Germania «romantica» decadente, incapace ormai di riconoscere l’uomo in ciò che essenzialmente è? Non solo.
Il messaggio di Nietzsche si innesta in realtà in un discorso più ampio, già inaugurato e approfondito in Così parlò Zarathustra e nella Gaia scienza: l’uomo deve recuperare la fiducia nella propria umanità in sé. Un discorso, un messaggio, che spesso ha trovato il proprio fraintendimento nella parola «superamento» (da cui l’equivocatissima espressione «Superuomo» o «Oltreuomo»).
Intendeva infatti, forse, Nietzsche, come spesso si ripete, indicare nel «superamento» qualcosa di realmente plausibile in termini di «superumano»? Intendeva realmente suggerire la possibilità di un «suprematismo» degli uni contro gli altri, degli «aristocratici dello spirito» contro la «plebe della sudditanza»? Oppure «superamento» andava anche e soprattutto inteso come «esercizio antropologico», esercizio morale a non soggiacere alle istanze del potere, siano o non siano incarnate da un’entità politica o religiosa?
La risposta è impossibile, come sarà sempre impossibile, a nostro parere, ridurre Nietzsche a una unica verità. Ma la domanda va comunque posta: e se per «superamento» Nietzsche intendesse anche non scendere mai a compromessi con l’idem sentire dominante, con la narrativa mainstream, con il conformismo intellettuale, con la passività e l’ignavia? E se il suo attacco al cristianesimo fosse in definitiva un encomio a chi, come Cristo e pochissimi altri, mai si piegò agli imperativi del potere? Ai posteri, che già si contano a stuoli, l’ardua sentenza.




