Dopo anni in cui il discorso religioso sembrava relegato ai margini della cultura giovanile, nel Regno Unito si sta assistendo a un fenomeno tanto inatteso quanto significativo: un ritorno alla fede da parte della Generazione Z. Nati tra il 1997 e il 2012, questi giovani sono cresciuti in un contesto fortemente secolarizzato, segnato dal disincanto, dalla crisi delle istituzioni e dalla diffusione di un pensiero spesso cinico nei confronti del trascendente. Eppure, sono proprio loro oggi a riscoprire — con modalità nuove e spesso sorprendenti — il linguaggio della spiritualità.
Secondo un’approfondita analisi pubblicata dal Financial Times, la religione non viene più vista da molti giovani adulti come un fardello del passato, ma come un terreno alternativo in cui esplorare significato, identità e speranza. In un’epoca in cui domina l’incertezza e le risposte sembrano evaporare nel flusso continuo di informazioni, la fede appare a tratti come un gesto controculturale, quasi una forma di ribellione silenziosa contro il relativismo e il vuoto.
Il nuovo interesse non si esprime solo attraverso la frequentazione delle chiese tradizionali. Si manifesta, piuttosto, in gruppi di lettura biblica autorganizzati tramite i social media, in podcast spirituali che mescolano riflessione e storytelling, in incontri universitari che affrontano domande profonde sull’esistenza e sulla morte. A Londra, Manchester e in altre grandi città britanniche stanno sorgendo comunità giovanili cristiane dal basso, spesso animate dagli stessi ventenni e trentenni, dove la spiritualità si vive in modo diretto, dialogico e profondamente personale.
Questa riscoperta del sacro non riguarda soltanto il cristianesimo. Molti giovani si avvicinano anche all’Islam, all’ebraismo, al buddhismo, o costruiscono percorsi spirituali ibridi, non dogmatici, ma sinceramente orientati alla ricerca. In comune, la volontà di trovare coerenza, comunità e senso in un mondo che offre spesso solo frammenti e transitorietà.
Per diversi osservatori, si tratta di una reazione alla cultura dominante. In un clima sociale che tende a evitare la sofferenza e la finitudine, la religione si ripresenta come un luogo in cui affrontare il limite con coraggio. Credere in Dio, in questo contesto, non è un rifugio, ma un atto consapevole: una risposta alternativa a una realtà percepita come troppo rapida, impersonale e priva di profondità. In questo senso, la fede diventa non soltanto un’eredità recuperata, ma anche uno strumento nuovo per costruire un’identità libera dalle logiche dominanti.
“La religione non è tornata per nostalgia, ma per necessità”, osserva il Financial Times. In altre parole, i giovani non cercano una religione che li rassicuri, ma una che sappia abitare le domande più urgenti, senza facili risposte. Una fede capace di sostenere l’inquietudine, di accompagnare le crisi e di offrire spazi di relazione reale.
Questa “ritrovata fede” non rappresenta un ritorno passivo al passato, ma piuttosto l’emergere di un nuovo linguaggio spirituale, che nasce dentro le crepe della modernità. Un linguaggio fragile ma tenace, che intreccia il desiderio di assoluto con il bisogno di autenticità, la sete di senso con il rifiuto dell’ipocrisia. E che, forse, ci sta dicendo qualcosa anche sul futuro della religione nel cuore dell’Occidente.
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Millevoci 24.06.2025, 11:00
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