Letteratura

Bisogna essere doppiamente moderni

Milan Kundera e l’arte del romanzo

  • 14 settembre 2022, 00:00
  • 18 dicembre 2023, 16:33
foto copertina KUNDERA.jpg
Di: Marco Alloni

“Io penso che fondatore dei Tempi moderni non sia solo Descartes, ma anche Cervantes”. Chi prouncia queste parole, Milan Kundera, sa perfettamente che la Modernità, che secondo Husserl e poi Heidegger avrebbe dato l’avvio al cosiddetto “oblio dell’essere”, cioè a uno spirito del progresso che dimentica l’essenza dell’uomo, non si esaurisce nel pensato della filosofia, ma trova la propria identità e profondità anche nel raccontato del romanzo.

Da questa persuasione nasce uno dei saggi più suggestivi del secondo Novecento, L’arte del romanzo, che non a caso pone a suo baricentro proprio la figura di Cervantes. Perché Cervantes? Perché “nel momento della vittoria totale della ragione sarà l’irrazionale puro (la forza che vuole solo il proprio volere) a impadronirsi della scena del mondo”. Con queste parole si sancisce di fatto l’inaugurarsi di una lotta capitale: laddove il mondo moderno pretenderebbe di spiegare l’esistenza solo in forza di razionalismo, il romanzo deve ricordare all’uomo che “le cose sono più complicate”, che la totalità dell’essere umano non si esaurisce nella conoscenza oggettiva della realtà ma si estende ai suoi abissi irrazionali. Al punto che “il romanzo non può più vivere in pace con lo spirito del nostro tempo: se vuole continuare a scoprire quello che ancora non è stato scoperto, se vuole ‘progredire’ ancora in quanto romanzo, può farlo solo andando contro il progresso del mondo”.

Cervantes inaugura pertanto i Tempi moderni non già perché li rispecchia ma perché, in un certo senso, li contraddice: ovvero ne rivela l’aspetto segreto e non riconosciuto. Si espone anzi a tal punto al rischio dell’irrazionalità, all’azzardo dell’irrazionalità, da renderci consapevoli che l’uomo compiutamente moderno è anche e soprattutto questo: un uomo che non si ritrova più (o si ritrova solo in parte) nelle istanze della scienza, della ragione, dell’oggettività e cerca “coordinate impossibili” dove le coordinate canoniche, comprese quelle della Chiesa, si sono smarrite o hanno perso la loro forza di rappresentazione del mondo.

Tutto ciò che, secondo Kundera, connota nel profondo il romanzo moderno procede dunque da questo smarrimento fondamentale: Richardson inizia a “svelare la vita segreta dei sentimenti”, Flaubert affonda in quella “terra fino ad allora incognita che è il quotidiano”, Tolstoj apre lo sguardo umano alle profondità dell’inconscio, “studiando l’intervento dell’irrazionale nelle decisioni e nei comportamenti umani”, Proust sonda l’inafferrabilità del “tempo passato”, Joyce quella dell’“attimo presente”, Mann interroga “il ruolo dei miti venuti dal fondo dei tempi” e via elencando.

Significa questo che il romanzo moderno si oppone alla logica dei Tempi moderni? No, significa semmai che allarga la sfera della coscienza, o per meglio dire la sfera della consapevolezza, a quelle dimensioni dello spirito che l’afflato progressista di scienza e razionalità non possono individuare se non per approssimazioni.

Affinché il mondo che Cervantes dischiude al nostro sguardo, quel “mondo segreto” che palpita in noi senza che le scienze possano chiarirlo e la ragione illustrarlo, giunga a farsi consapevolezza è però necessaria, appunto, l’arte del romanzo, che in estrema sintesi significa arte di riprodurre nell’immaginario della scrittura e dei suoi personaggi quella realtà recondita, del tempo, della vita, dell’animo umano, che nessuna scienza può rappresentare e solo il romanzo e il suo linguaggio metaforico possono dischiudere.

In questo senso l’affermazione di Kundera secondo la quale “il romanzo deve dire ciò che solo il romanzo può dire” assume una connotazione addirittura euristica: finalmente comprendiamo infatti che il romanzo non è e non deve essere un esercizio di intrattenimento parallelo al mondo del sapere razionale, bensì un’arte che contiene in sé, paradossalmente, una sorta di scienza ulteriore, tanto da poterci fare esclamare che senza scienza e senza ragione non può esserci modernità almeno quanto non può esservene senza questa insondabile “scienza” che è l’arte del romanzo.

Oggi molti romanzieri lo dimenticano. Ma Kundera lo ribadisce senza mezzi termini: laddove il romanzo non costituisce una ulteriorità di conoscenza del moderno, la Modernità non sarà altro che la sua riduzione al progresso inteso scientificamente e razionalmente, cioè rimarrà sempre monca della sua essenza e del suo spirito.

  • Heidegger
  • Joyce

Ti potrebbe interessare